giovedì 17 Luglio 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

PILLOLE PER L’ESTATE

Pillole per l’Estate propone oggi una lettura e una visione diversa di un film che compie mezzo secolo: I tre giorni del Condor con Robert Redford, Faye Dunaway, Clif Robertson e Max Von Sydow.

In breve: Joe Turner, ricercatore della CIA, si salva per puro caso dalla strage in cui cadono i suoi colleghi. Presto scopre di non potersi fidare dei superiori, e di doversi salvare da solo. Non è detto che ci riesca. Il film di Sydney Pollack rimane un classico della filmografia mondiale. Coglie perfettamente la temperie di anni che videro l’orizzonte luminoso della Nuova Frontiera intorbidirsi di trame oscure (il Watergate), intrighi internazionali (il colpo di Stato in Cile tramato dalla CIA), prospettive angosciose. La perdita dell’innocenza vissuta, anche per il sanguinoso fallimento del Vietnam, dalla coscienza collettiva degli U.S.A. diffuse ovunque i suoi riverberi (fin nella ricostruzione del passato, con la dissacrazione della mitologia western), e il Condor si colloca in tale contesto opponendosi al minestrone della salute propagandato dall’agiografia ufficiale.

UN THRILLER CHE AIUTA A CAPIRE

Il film “I tre giorni del Condor”, avvincente thriller di Sydney Pollack, ci aiuta anche a spiegare, 50 anni dopo la sua uscita nelle sale, la crisi odierna della stampa e di un certo modo di fare giornalismo, con il declino progressivo di una professione che aveva nella mediazione e nel controllo della veridicità delle notizie, in special modo le più scottanti, il fulcro del sistema dell’informazione.


In sintesi, Robert Redford-Joseph Turner-Condor,
impiegato della Cia, riesce a scoprire e a sopravvivere a un complotto incentrato sui piani di una guerra da far scoppiare nel Medio Oriente per assicurarsi il controllo del petrolio. Ma un rapporto dello stesso Condor smaschera il tutto. La trama è nota, visto il successo del film e le continue repliche in tv.

Illuminante, per comprendere quanto il sistema dei media sia cambiato, è il dialogo tra Condor e il vicedirettore della Cia, Higgins (sotto, nella foto) , davanti alla sede del New York Times al quale poco prima lo stesso Condor aveva consegnato il suo rapporto sull’intera sporca vicenda. Un finale dal sapore amaro poiché insinua il dubbio che la Cia, quindi il potere, il governo, riescano a bloccare la pubblicazione, nascondendo così i fatti e i crimini.

Condor a Higgins, vicedirettore della Cia: “Va’, torna alla tua compagnia. Che aspetti? È troppo tardi”.
Higgins: “Cosa?”
Condor: “Non vedi dove siamo? Tutto scritto e consegnato. E da lì [sede del “The New York Times”] che spediscono le copie. È tutto in mano loro. Nero su bianco. Da cima a fondo”.
Higgins: “Scritto? Ma cosa hai scritto?”
Condor: “Ho raccontato i fatti: voi fate esperimenti, io racconto fatti veri”.
Higgins: “Che stronzo. Sei un povero stronzo figlio di puttana. Hai fatto più danno di quanto non ti immagini”.
Condor: “È quello che spero”.
Higgins: “Sarai solo Condor. Più solo e disperato che mai. Non avrei mai pensato… che avresti fatto questa fine”.
Condor: “Per questo l’ho scelta”.
Higgins: “Ehi Condor! Sei sicuro che lo stampano? Vai, vai, continua pure per la tua strada. Ma dove arrivi se poi non lo stampano?”
Condor (colto di sorpresa, sperduto): “LO STAMPANO”.
Higgins (sicuro di ciò che insinua): “CHE COSA NE SAI?”.

Condor, 50 anni fa, aveva davanti a sè soltanto una via per vedersi pubblicare il suo rapporto: entrare in un giornale, consegnare al cronista tutto il materiale e raccontare, raccontare… Il giornalista, una volta avuto tra le mani ciò che prometteva di essere un colpo giornalistico ci “lavorava sopra”. Cercava conferme, confrontava dati e circostanze, e alla fine scriveva il suo pezzo che, però, doveva passare sotto le forche caudine della direzione: “E’ una notizia sicura?” “Ci possiamo fidare?” “Chi è questo Condor?” “Perché è venuto da noi a raccontare questa storia?” e tanti altri pressanti e sospettosi interrogativi.

Se l’articolo dello scandalo riusciva a passare indenne questo esame perché ritenuto credibile, il giorno dopo tutti lo avrebbero letto in prima pagina, con tutte le conseguenze del caso. Ma se fosse prevalsa la cautela? Se il rapporto non avesse convinto i piani alti del giornale? Condor, come dice il vicedirettore della Cia, sarebbe rimasto solo e con un sicario sempre alla sue spalle pronto a ridurlo al silenzio.

Immaginiamo Condor oggi. Che cosa avrebbe potuto fare per evitare il dubbio sulla pubblicazione o il cestino? Semplice, entrare in un qualsiasi internet caffè, accendere il computer e spedirlo, anche con lo smartphone, con un clic, a una miriade di siti d’informazione, a tante edizioni online di giornali in qualsiasi angolo della terra. La condivisione di una notizia sarebbe stata la garanzia che qualcuno, in virtù della sacra legge della concorrenza tra giornali e tv, lo avrebbe pubblicato.

Il giornalista avrebbe avuto soltanto il compito di controllare la veridicità del tutto e una volta certo dei fatti descritti ecco il “si pubblichi”. Una notizia in pasto a tante fonti avrebbe avuto di sicuro “l’Ok, visto, si stampi” da parte di qualche giornale. “Se non pubblico io lo farà il mio concorrente. Il danno sarebbe notevole e ne andrebbe della mia reputazione”.

Ecco perché Condor e i tanti condor in giro per il mondo avrebbero a disposizione una procedura sicura per dare in pasto un qualsiasi scandalo (si pensi ai vari leaks che sono riusciti a perforare il muro della segretezza eretto dal potere, in primis Assange), ai veri padroni dell’informazione: non più soltanto ai giornalisti, ma ai lettori. Governo o non governo, Cia o non Cia.

E’ il potere dei nuovi e pervasivi media, dei social, di internet. Questa la vera causa del perché i giornali sono diventati meno credibili d’un tempo. Subiscono il controllo di migliaia di nuovi (spesso però anche drammaticamente dilettanteschi e ignoranti) operatori dell’informazione. Se non scrivo io, scriverà di certo l’altro. Non sarò più io a informare, ma il mio concorrente. E vallo poi a spiegare ai miei lettori. La nuova informazione non concepisce che si arrivi secondi su un fatto, su un avvenimento o su una notizia. A meno che arrivare secondi non dispiaccia all’editore e influisca in maniera negativa sui suoi interessi. (Pda)

Qualche minuto in compagnia di…

… Charles Bukowski: “Vi prego salvatemi dagli scrittori: le conversazioni con le puttane di Alvarado Street erano molto più interessanti. Oggi ci sono centinaia di milioni di scrittori. Se di questi tempi chiami un idraulico, ti si presenta con la chiave giratubi in una mano, la ventosa nell’altra e un libriccino con i suoi madrigali nella tasca posteriore”.

Ancora Bukowski: “C’è gente benpensante che mi diceva: tutti soffrono; e la mia consueta risposta era: nessuno soffre come i poveri”.

L’ultima di Charles: “La mia idea di scrittore è di uno che scrive. Che siede alla macchina da scrivere tempestando il foglio di parole. Questo dovrebbe essere il punto. Non insegnare agli altri come si fa, frequentare seminari, leggere a folle impazzite. Se volevo essere su un palcoscenico, facevo l’attore. Se lo fai per pagare l’affitto va bene, ma troppi lo fanno per vanità”. (da Charles Bukowski – Sulla scrittura – Guanda editore).

Marc’Aurelio. Qual è la strategia dei ciarlatani, degli affabulatori, dei politici di mezza tacca, degli arruffapopoli, dei demagoghi e dei giornalisti un po’ servili? “Usare le parole per rendere i fatti vaghi e confusi” Così avrebbe risposto Marc’Aurelio secoli fa. Scrisse, in greco, nelle sue Meditazioni: “Le opinioni sono parole, non fatti”.

Mariana Mazzucato. Un tuffo nella finanza con il suo libro “Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale”. “La finanza – ammonisce – ha abbandonato il suo ruolo di intermediazione tra risparmio e investimento ed è diventata dagli Anni Ottanta in poi, con la fine delle regole stabilite a Bretton Woods, un casinò. La finanza è diventata sostanzialmente una bisca in cui si scambiano scommesse”.

Virginia Woolf. Nella giornata internazionale dei diritti della donna viene in soccorso Virginia Woolf con il suo libro “Una stanza tutta per sè” (Feltrinelli). “Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata. Senza questa facoltà, probabilmente la terra sarebbe ancora palude e giungla. Tutte le glorie delle nostre guerre non sarebbero esistite (…) I superuomini e i figli del destino non sarebbero mai esistiti. Lo Zar e il Kaiser non avrebbero mai portato le loro corone, e neppure le avrebbero perdute (…) questi specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono così enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, non servirebbero più a raddoppiare gli uomini. (…) E spiega anche perché essi non tollerano la critica della donna (…) Giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce: l’uomo diventa meno adatto alla vita”.

Digitale contro carta. Bookcity Milano e il manifesto #ilibricisalveranno. Digitale contro carta. Tre risvolti pericolosi:

1) digitale e social network stanno catturando il nostro tempo e la nostra attenzione in una modalità sempre più pervasiva, spesso patologica;

2) l’illusione del sapere, dovuta al continuo numero di informazioni a portata di smartphone, che indebolendo la nostra capacità di pensare, approfondire, riflettere, distinguere le notizie da quelle che non lo sono. Con tutti i rischi connessi ai processi di formazione del consenso che sono alla base della nostra democrazia;

3) la digitalizzazione è un processo che silenziosamente, contribuisce a indebolire le nostre capacità di concentrazione, memorizzazione e comprensione di un testo scritto: è in discussione la salute dei nostri cervelli, e in particolare di quelli delle nuove generazioni. Quindi: tornare a riempire il nostro tempo di letteratura, poesia, giornalismo di qualità.
E’ un manifesto indirizzato alla politica affinché rifletta e agisca su questi quattro punti. Una sintesi:
Impariamo a chiederci cosa sappiamo di ciò che sappiamo. Il digitale opera inondando le persone di post irrilevanti e news spesso infondate. – La competenza e l’affidabilità di un giornalista hanno un prezzo che non va vissuto come un costo bensì come un investimento per la nostra società e i nostri giovani. – Impegniamoci a ridare la giusta attenzione alla nostra attenzione, l’iperconnessione sta riducendo la nostra capacità di concentrazione.  Incoraggiamo le persone ad aprire più libri – Difendiamo il valore della lettura e dei libri stampati Le storie sui social scadono dopo un giorno. Quelle stampate nei libri durano una vita. – Grazie ai libri teniamo in vita saperi e pensieri che si tramandano di generazione in generazione – Distinguiamo il valore di ciò che leggiamo. Le parole sullo schermo scivolano via veloci. Stampate sulla carta acquisiscono una forza e una “durevolezza” che costringe chi le scrive a valutarle, rivederle, limarle una a una. E più parole impareremo, più potremo dire di sentirci liberi.

Alexis de Tocqueville (XIX secolo) sull’effetto alienante del consumismo: “Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di uomini eguali, che volteggiano su sé stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui pasce la loro anima. Ognuno di essi, tenendosi in disparte, è come estraneo a tutti gli altri”.

Sigmund Freud. Potevo risparmiarvi un suo aforisma? “Con una vita sessuale normale, la nevrosi è impossibile. I medici dovrebbero abituarsi a spiegare all’impiegato che si è ammazzato di lavoro in ufficio, o alla massaia per la quale la casa è divenuta troppo pesante, che essi non si sono ammalati perché hanno cercato di svolgere mansioni che di fatto, per un cervello civile, sono propriamente leggere, ma perché, mentre svolgevano tali mansioni, hanno trascurato e deteriorato in modo grossolano la propria vita sessuale. (Sigmund Freud – Aforismi. Ed. Bollati Boringhieri).

Shakespeare. “Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è cinta di sogni” (La tempesta).

Colum McCann: “Una delle caratteristiche principali del dolore è che prima di tutto esige di essere sconfitto, poi compreso”. “Ben oltre il giusto o lo sbagliato c’è un campo, ti aspetterò là” Rumi, poeta sufi. “Il mio dolore e il suo dolore: lo stesso dolore”. (McCann – Apeirogon. Ed. Feltrinelli).

Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce” . (Anthem)

 

Amos Oz: “Il fanatico è un altruista, ma se non riesce a cambiarti, ti ucciderà”. (Contro il fanatismo).

Donne armate di coraggio. Da far leggere ai prepotenti e ai criminali dei giorni nostri. E’ Natale. Grazia S. invia in Rete una poesia dedicata alle coraggiose donne curde, che l’Occidente ha usato contro l’Isis e poi abbandonate al loro destino da perseguitate. Sono donne, sono curde, combattono i tagliagole del fanatismo islamico. A me ricordano le miliziane repubblicane di Spagna – alquanto sgangherate secondo l’Omaggio alla Catalogna scritto da George Orwell, ma coraggiose e armate di generosa fierezza – e anche le partigiane italiane.
“Io vado, madre / Se non torno / sarò fiore di questa montagna / frammento di terra per un mondo / più grande di questo /
Io vado, madre / Se non torno/ il corpo esploderà là dove si tortura / e lo spirito flagellerà / come l’uragano, tutte le porte /
Io vado madre / Se non torno / la mia anima sarà parola / per tutti i poeti.”

Philip Marlowe (personaggio creato da Raymond Chandler). “Nulla dice addio come una pallottola”. (Nella foto, Robert Mitchum nel film Il poliziotto privato)

Groucho Marx. “Questi sono i miei princìpi, e se non vi piacciono, beh ne ho altri”. E poi un’eterna e inconfutabile verità detta con l’eterno sigaro in bocca e con l’espressione furba alla groucho: ”Il matrimonio è la causa prima del divorzio”.

Il caffè anarchico. Un tale ebbe a dire: “Come si fa a governare un Paese, la Francia, che ha ben 272 tipi di formaggio?” Stamani ho riflettuto, invece, sull’anarchia tutta italiana al bar, dove un semplice caffè diventa, per la malcapitata cameriera, peggio di un indovinello della Sfinge. Elenco le possibili ordinazioni di un caffè che sono riuscito a memorizzare:

1. Caffè normale
2. Caffè in tazza grande
3. Caffè in tazzina fredda
4. Caffè lungo in tazza grande
5. Caffè lungo in tazza calda
6. Caffè corto in tazzina fredda
7 Caffè corto in tazzina calda
8. Caffè macchiato caldo
9. Caffè macchiato freddo
10. Caffè decaffeinato
11. Caffè decaffeinato macchiato caldo
12. Caffè decaffeinato macchiato freddo
13.Caffè macchiato con latte di soia
14. Caffè al ginseng con le varie declinazioni
15. Caffè corretto alla sambuca
16. Caffè corretto al cognac
17. Caffè macchiato con latte senza lattosio… 18. Caffè con sambuca 19 Caffè marocchino 20. Caffè marocchino senza schiuma 20 Caffè macchiatone…

… continuate voi. L’elenco si allungherà a dismisura. Ma la vetta più alta di questa fantasia al bancone del bar è stata raggiunta dalla signora elegante e affettata che ha osato ordinare un caffè normale, liscio (“finalmente una persona semplice“) ma con un’aggiunta stupefacente: “Mi raccomando signorina… con il cucchiaino freddo”.

Ps. Continuate voi.

Estate, scene di vita italiana

Atto primo. Quattro amici si incontrano. Non si vedevano da tempo. “Ciaooooo, come stai? Che gioooiaaaa” e via strette di mano e abbracci. Il fortunato sta per dire qualcosa, vuole manifestare e condividere la sua, di gioia. Ma squilla un primo telefonino. Una delle tre signore si allontana e risponde, imbastendo una fitta conversazione con colei (o colui) che avrebbe potuto benissimo richiamare di lì a poco. Dieci secondi ed ecco altri due squilli e altrettante conversazioni. Sembra che tutti si siano dati un appuntamento telefonico a quell’ora. All’ora della gioia di quattro persone amiche che si ritrovano in piazza. L’uomo per una manciata di secondi finge di aspettare ma poi, approfittando della distrazione generale, si allontana. Se la dà a gambe e scompare. Tutto ha un limite, anche la pazienza. Tre minuti dopo sente squillare il suo di telefonino. E’ una delle tre di prima. Lui non risponde ma fa partire un messaggio: “Sono con altre persone. A dopo”. Mai più risentite.

Atto secondo. Ho assistito, mio malgrado,  e senza volerlo a questa scena. “Ciaooooooo…. Dove sei stato tutto questo tempo”. “In giro” è la risposta. “In giro dove?” incalza la signora con appresso il marito. “Un po’ al mare, poi un viaggetto… ” Dai, raccontaci tutto…”. “Sono tornato a New York…” si lascia sfuggire il malcapitato. “Davveeeerooooo? Oh, New York, altro mondo…. Ti ricordi caro – dice rivolgendosi al compagno – quando siamo andati noi, cinque anni fa?”. Il marito annuisce, faccia da ebete, mentre lei comincia a tirare un pistolotto sulla sua vacanza a Nyc di cinque anni prima. Racconta… sorride, racconta… racconta… un fiume di ricordi, e si addentra in particolari insignificanti che a lei apparivano avventure uniche, epiche. Cita perfino i pop corn che la coppia, cedendo a una botta di vita, aveva comprato a Broccolino. “Buonissimi”. Al malcapitato il latte è già arrivato alle caviglie. “Scusate, devo scappare, mi aspettano” e taglia la corda.
Consiglio personale. Alla domanda “Dove sei stato in tutto questo tempo?” Non bisogna cadere nel tranello. Bisogna rispondere sempre: “Ho fatto un po’ di volontariato tra malati e senzatetto”.

Atto terzo. Quattro ragazzini di Malo, in provincia di Vicenza, sono stati multati per 600 euro (150 euro a testa) da vigili inflessibili del tipo qui non si guarda in faccia a nessuno, tantomeno ai bambini. I quattro sanzionati (pagheranno le famiglie) hanno violato il divieto di giocare a pallone nel parco cittadino. C’era anche un cartello con l’immagine del pallone sbarrato a ricordare che “è vietato praticare giochi molesti”. Tutto secondo la legge, per carità. Ma come si fa a vietare a un gruppetto di bambini (età da 5 a 8 anni) di dare quattro calci a una palla? La motivazione: il pallone alza la polvere e infastidisce il signore e la signora seduti sulla panchina, che hanno scordato di trovarsi in un parco giochi e non in chiesa o in un collegio svizzero. Se vado al parco è per giocare, mica a un funerale o in chiesa o in biblioteca. E’ il gioco che manca ai bambini. Sono ipnotizzati da telefonini, tablet e iPhone. Se ne stanno delle ore a cliccare attratti da trucchi per farli stare fermi, anche a costo di rincretinirli. Vietato giocare a pallone. I ragazzini vanno legati. L’unica cosa da fare è togliere quei divieti.  E se la cosa disturba c’è una sola via d’uscita: vietare i parchi a coloro che detestano il divertimento, il gioco, anche se alza la polvere.

Atto quarto. Sulla spiaggia di una conosciuta località balneare dell’Alto Adriatico ho visto un assembramento di vigili urbani dotati di moto da spiaggia. Controllavano, con malcelata soddisfazione professionale e di divisa, i venditori abusivi, immigrati che propongono vestiti, foulard, chincaglieria tutto a 5 euro. I quali, da un giorno all’altro, sono scomparsi. Soddisfatti i commercianti del luogo, sebbene i negozi continuassero a essere tristi e semivuoti. Illusi. Fingono di non sapere che il primo vero, grande e per ora invincibile concorrente è Amazon.Se la prendono con gli ultimi. Quasi ogni negozio con le serrande abbassate è una vittima del colosso delle vendite online. La verità è che contro internet non puoi mandare i vigili urbani con la moto da spiaggia.

Atto quinto. Esistono alcuni tipi di italiani e italiane che tentano di apparire per quello che non sono. Amano ripetere in ogni discussione: 1) non ho nulla contro le persone di colore, ho un amico nero; 2) non ho nulla contro i gay, ho un amico e un’amica gay; 3) voto a destra, ma in passato votavo a sinistra… L’ultima frase autoassolutoria di chi nell’intimo detesta la sinistra, oggi, è la seguente: peccato che in Italia la sinistra non faccia la sinistra… con l’espressione finto-dispiaciuta. A me sembra, il tutto, ipocrita e opportunista. Perché se la sinistra avesse fatto la sinistra per certi discutibili personaggi la pacchia sarebbe finita da tempo.

Atto sesto. Quelli che… liberali, moderati, sovranisti, socialdemocratici, centristi, centro di qua, centro di là, guardo a destra, guardo a sinistra, né di destra, né di sinistra, devo riflettere, non voglio impegnarmi, le ideologie sono scomparse (sic), lascio il partito e vado al centro; no, io resto qui… Siamo talmente abituati a spaccare l’atomo per distinguerci che nessuno più ha il coraggio di dichiarare con semplicità di essere politicamente quel che è.

Atto settimo. Parola di re. La storiella dell’ex re dell’Egitto, Faruq I. Amava giocare a poker, ma, cosa impossibile per noi comuni mortali, con i soldi del Tesoro nazionale. Al momento decisivo della scoperta del punto, dinanzi, chessò?, a un full dell’avversario, annunciava: “Io ho un poker”. “Maestà, potrei vedere il punto?” azzardava un timido suo avversario di gioco. Faruq, sdegnato, lanciava le carte in aria e urlava: “Ho un poker, parola di re”.

Grazie per l’attenzione e buone vacanze (PdA)

 

 

 

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