di Piero Di Antonio
— Il monologo di Anna Foglietta – attrice che concentra in sè intelligenza, bellezza e occhi sinceri – rientra nelle migliori cose alle quali ci è stato dato di assistere di questi tempi, pessimi. Parole e concetti che rimbombano nelle nostre teste parecchie ore dopo averlo seguito e apprezzato alla cerimonia del Premio Strega. Alcuni passaggi sono indimenticabili poiché detti in una fase della nostra vita in cui si avverte l’impellenza di dirli, di rimarcarli, di dar loro più forza, finanche di gridarli da qualsiasi palco che la vita mette a disposizione. Riguardano: l’algoritmo dell’egocentrismo da sfondare, l’inconsapevolezza dominante, l’indifferenza, la neutralità, l’omologazione, un’etica da insegnare… e tanto altro.
Splendido il contributo della Foglietta a farci capire la necessità di una sveglia, di libri per respirare il mondo e per invertire la complessità del momento in cui noi italiani siamo maestri, maestri per confondere, per mascherare vizi, per essere “uno, nessuno, centomila…”
Avevamo e abbiamo ancora bisogno di un disturbatore, di un Pasolini. Ecco il tasto su cui l’attrice ha più volte insistito. Sì, c’è bisogno di un disturbatore che ci ridesti dal sonno in cui siamo precipitati, che svegli le nostre coscienze addormentate e cloroformizzate dalla tv, dall’informazione, dal conformismo. C’è un bisogno estremo di libri, ma anche e soprattutto di esempi. Solo alcuni dei tanti motivi che ci fanno sentire la mancanza di PPP.
Con il senno di poi ci si convince che ad Anna Foglietta bisognava concedere altro tempo per altri nomi che mancano e altri concetti da rimarcare. Le esigenze televisive lo hanno impedito sebbene molti non avrebbero fatto a meno ancora per ore della sua voce e della sua esortazione.
CI MANCA PPP quando scrive Ragazzi di vita, Una vita violenta e Petrolio. Storie intense, drammatiche, che ci hanno aiutato ad afferrare le trasformazioni della nostra società. Che cosa scriverebbe oggi PPP? Forse ci fornirebbe le prove di come siamo finiti in questo baratro di insufficenza e distacco.
CI MANCA DON CHISCIOTTE il vecchio cavaliere errante a cavallo di un ronzino, che da secoli, attraverso Cervantes, ci canta dalla Mancia le sue folli prodezze, consegnando al mondo l’eterno valore della fantasia, oggi occultata dalla tecnica e della tecnologia.
CI MANCA PPP quando scrive sul Corriere della Sera di conoscere i nomi dei golpisti, degli autori di stragi e attentati, dei fascisti e dei mafiosi che si muovevano nell’ombra, dei potenti e dei loro protettori. “Io so. Ma non ho le prove, non ho nemmeno gli indizi”. Oggi, che abbiamo molte più prove, chi, se non una minoranza, può sobbarcarsi il peso della verità a suo rischio e con il pericolo di delegittimazione?
CI MANCANO DONNE CORAGGIOSE come una certa senatrice Tina Merlin, giornalista e scrittrice, alla quale dobbiamo le documentate e inascoltate denunce sul Vajont e contro gli avidi responsabili di quell’immane disastro (duemila morti) che potevano tra l’altro schierare un complice illustre: Indro Montanelli. Quel giornalista fin troppo osannato non ci manca affatto.
CI MANCA L’ESPRESSO il settimanale-lenzuolo fondato da Benedetti e Scalfari, oggi finito in mani a persone che non ci mancheranno perché poco hanno a che fare con l’informazione e parecchio con gli affari. Ci mancherà, perciò, Manlio Cancogni che proprio 70 anni fa scrisse su quel glorioso settimanale “Quattrocento miliardi”, la prima inchiesta di denuncia della scandalosa speculazione edilizia a Roma. Il titolo in copertina è entrato nella storia, non di certo, però, nella memoria collettiva dei contemporanei: Capitale corrotta=nazione infetta.
CI MANCANO GLI INTELLETTUALI oggi bollati come radical chic da aspiranti radical chic senza lo spessore culturale per diventarlo. Ci hanno lasciato, quei radicali imprigionati nel luogo della cospirazione che porta il nome di Capalbio – opere importanti, quasi dimenticate in quell’immenso archivio dei motori di ricerca, ma che nessuno ha più voglia di disseppellire.
NON CI MANCHERANNO i nuovi linguaggi e i comportamenti di milioni di persone ubriache di piccoli racconti concentrati in 170 battute che – Foglietta dixit – altro non sono che l’alibi perfetto per nascondere la nostra ignoranza. Frasi che sommano a malapena dieci parole (sempre quelle, uno slang al risparmio), che non spiegano, ma che lasciano solo intuire, estratte da un vocabolario talmente striminzito che possono essere conservate in un semplice messaggio del telefonino.
CI MANCA IL VIAGGIO con la testa sempre all’insù, a guardare il cielo, i monumenti e le storie che custodiscono da secoli. E ci manca il perché ci mettiamo in cammino. Per conoscere o per fuggire da una realtà che ci opprime e ci far stare male?
CI MANCA LA BELLEZZA conseguenza dello stare sempre incollati alla terza mano, il dispositivo elettronico che scandisce la nostra nuova esistenza. Il guardare altrove impedisce di incontrare la bellezza, che non è tutta nei monumenti e nelle opere di cui è lastricato questo distratto Paese: sta nell’incontro, nella visione dell’altrui talento, nella relazione e nella trasmissione di emozioni. Anche questa mancanza è forte, per ora siamo ancora fermi all’estetica e al consumismo delle cose, e addio alla profondità e all’ammirazione che il mondo che ci circonda meriterebbe.
NON CI MANCANO quindi le foto e i video dei nostri tragitti immortalati nei selfie se non accompagnati da pensieri più profondi. Non ci mancano i viaggi dove ciascuno di noi si concentra sullo smartphone, restando praticamente fermo. Viaggiamo in teoria verso un luogo, in verità connessi sempre con un altrove.
CI MANCA L’AMERICA dei grandi scrittori diventati grandi in Europa e che ci hanno regalato opere immortali. Ci manca Steinbeck, ci mancano Furore, la Valle dell’Eden, Uomini e Topi… pagine che fanno capire quel Paese – piombato nelle grinfie di affaristi e servi sciocchi del potere incarnato da Trump – più di qualunque altro accademico o politologo. Ci mancano quei grandi scrittori, filosofi e saggisti che da qualsiasi parte potrebbero insegnare ai nostri studenti la modernità e la complessività del mondo, che in Italia si restringe sempre più, bloccato, a leggere certi programmi scolastici, nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Un Paese fermo ancora sul Carso. E da lì non ci si schioda, perché sui banchi – è il mantra della restaurazione – andare oltre sta a significare “fare politica”. Non si può e non si deve (sic). Quella la fanno i furbi e gli avventurieri che vincono sempre e che non ci mancano. Chiediamoci: come mai?
NON CI MANCA L’AMERICA che in questi mesi arriva come un Grande Fratello nelle nostre case rilanciando quell’eterna trattativa tra sensali nel mercato rionale che è diventata la Casa Bianca. Un’eterna contrattazione senza un orizzonte, una visione. Perdippiù con l’arroganza di sentirsi degni di un premio Nobel, la pretesa di Trump (“il caro paparino” per il segretario della Nato), e con il servilismo di Netanyahu, un primo ministro che sta polverizzando Gaza, che lo propone addirittura agli accademici di Oslo. E in casa nostra, di riflesso, non ci manca quell’assiduo frequentatore di studi televisivi, ambasciatore della linea della nostra presidente del Consiglio, alla quale darebbe, udite udite, il Nobel per l’Economia.
NON CI MANCA SOLTANTO PPP comincia a mancarci la libertà.