di Claudia Zamorani

Una categoria, quella dei giornalisti, che Fabbri conferma di non gradire, come del resto chiunque osi lacerare con il dubbio o la cronaca la sua narrazione confortevole di paese dei balocchi, finemente intessuta da una squadra di sapienti comunicatori e ricamata a punto a giorno da una città i sciupato di piazza Ariostea.
Cronisti rei, ancora una volta, di avere fatto il proprio lavoro. Di avere dato voce, tra le altre, ai residenti di piazza Ariostea dopo due mesi di occupazione della piazza per concerti e feste da discoteca che l’hanno resa più simile a un catino di terra secca che a una piazza rinascimentale patrimonio mondiale dell’Unesco in cui intrecciare relazioni, sconfiggere solitudini e fragilità.
Gli stessi residenti che il sindaco caparbiamente non ha mai voluto incontrare ne’ ascoltare, nonostante gli appelli. La cosa che più mi ha colpita è sentir parlare Fabbri, o chi per lui, penso per la prima volta, di Felicità. Ecco, la Felicità.
Ne parla però a sproposito, come se parlasse di un panino alla mortadella, come quelli a 15 euro che vendevano senza scontrino al Summer Festival, ignorandone il dirompente significato politico.
Sì, perché la felicità pubblica e’ una categoria politica ben precisa, specie se pronunciata da un sindaco e non da impresario di circo, e le parole hanno un peso e dovrebbero essere maneggiate con capacità e proprietà.
Felicità pubblica è una categoria politica, sociale e culturale precisa, rivoluzionaria per certi versi, che mette le persone e le relazioni al centro delle agende politiche, e la qualità delle nostre vite.
Felicità è prendersi cura l’uno dell’altro e dei luoghi che abitiamo. E’ capacità di guardare oltre se stessi per costruire una comunità più unita e più giusta. Felicità e ‘ porre le relazioni al centro della città e un modello economico, sociale e politico alternativo e generativo, che crea e non distrugge, che si fonda sul principio di prendersi cura di ciò che ci circonda.
Felicità e’ andare oltre la mera speculazione economica, oltre il PIL, oltre la bottiglietta d’acqua fatta buttare via a 40 gradi d’estate per costringerci a comprare quella a 3 euro il mezzo litro. Felicità e’ capacità di creare bellezza e un contesto che favorisca le relazioni. E’ prendersi cura, riparare, e’ capacità di generare bellezza intesa non solo come fattore estetico, ma etico.
Non è chiudere, privatizzare, usare, consumare, non è il paga- mangia – bevi -salta e torna a casa, alla ricerca disperata di un’emozione, sempre più grande, sempre più in alto, che ci faccia sentire ancora vivi perché fuori manca una regia, una visione più alta di città e di comunità.
Ecco perché Ferrara oggi non può definirsi una città felice.
Ma qualcosa sta cambiando sotto il manto erboso umiliato di piazza Ariostea.
Una nuova voce si è alzata. Una voce che chiede cura, bellezza, ascolto, relazioni. In una parola, felicità. Il Ferrara Summer Festival è finito. Noi abbiamo appena cominciato.
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