Da oggi nelle sale il film su Bruce Springsteen, accolto dalla critica come uno dei migliori biopic musicali dell’ultimo decennio. Sia Rolling Stone, sia Esquire sono concordi nel definire Springsteen: Liberami dal nulla come “un’opera che farà riconciliare con il genere delle biografie dei grandi personaggi e artisti ancora in vita”. Un film che racconta il lato più intimo e buio del Boss del rock e della sua rabbia giovane.
IL TRAILER
Il regista Scott Cooper ha arruolato Jeremy Allen White per interpretare il Boss, ricevendo da quest’ultimo tra l’altro l’approvazione, dopo interi decenni passati a dribblare a ogni possibile rievocazione cinematografica sulla sua complicata e affascinante vita di artista e uomo.
Il risultato finale – scrive tra l’altro Giulio Zoppello su Esquire – è un film notevolissimo, profondo, distante dallo standard hollywoodiano, che accarezza spesso le corde dell’indie (produzioni arrtistiche indipendenti dalle grandi industrie del settore, ndr), ma senza strafare, senza mai allontanarsi però da un obiettivo e uno solo: parlarci dell’uomo, più che dell’artista. Il primo ha creato il secondo, e quindi addio alla mitizzazione, alla retorica.
Gli eventi sono ambientati a inizio 1982, quando Bruce sta cercando di creare “Nebraska”, che sarà uno dei più grandi album rock di tutti i tempi. Sarà anche un momento di svolta nella vita di Bruce. E’ tratto dalla biografia scritta da Warren Zanes, e la sceneggiatura di Cooper fa di tutto per portarci lì, nel momento in cui Bruce sta per spiccare il volo. Le Major discografiche, le radio, gli chiedono di produrre di più, di fare più concerti. Lui però si sente perso, ha dentro qualcosa di terribile che lo inghiotte, e non vuole diventare un prodotto, vuole dire qualcosa di sé stesso, vuole cantare di quel gorgo che lo assedia da quando era bambino.
All’inizio di questa storia, Bruce non è del tutto sconosciuto.Viene da un album (The River) e un tour di enorme successo. Le groupie (fan che seguno un cantante o un musicista rock durante le torunée) lo fermano per strada. Ha in mano un pugno di canzoni che potrebbero farlo diventare ancora più star. Su tutte, un piccolo brano intitolato Born in the U.S.A. Però c’è qualcosa – scrive su Rolling Stone Mattia Carzaniga – Loneliness, solitude, chiamatela come volete. Un’ombra dal passato. Un padre che c’è e non c’è, l’alcol, le liti in cucina di notte. Oggi si direbbe: un trauma irrisolto. Dico io, di nuovo: una rabbia giovane”.
E ancora:” Sintetizzo – non me ne vogliano i puristi – come del resto sintetizza il film, che non prende la strada di certi biopic musicali che coprono (malamente) tutta una vita. Qui, proprio alla maniera del film su Dylan, si sceglie un momento preciso. Un passaggio. No: il passaggio. Là la svolta elettrica, qui – sempre per sintesi – la sterzata folk. Là Timothée Chalamet, qui Jeremy Allen White, nuovi idol Gen Z pieni di febbrile talento che non puntano al Tale e quale show. Là James Mangold, qui Scott Cooper, registi di solido mestiere che non vogliono autoreggiare troppo, e per la riuscita di entrambi i film è decisamente meglio così.
Ci sono così tanti filmati e interviste di Bruce l’artista e l’icona – attacca il protagonista Jeremy Allen White: “Soprattutto negli ultimi anni, dopo che ha pubblicato la sua autobiografia [Born to Run], Bruce è diventato non solo un po’ più vecchio, ma anche molto schietto e onesto riguardo al periodo più duro della sua vita. Dovevo acquisire tutte queste informazioni. Erano tutte cose che non conoscevo, che l’artista Bruce Springsteen non aveva mai mostrato. Però, per sfortuna mia, molti di questi dilemmi interiori, dei momenti difficili che ha attraversato, erano qualcosa che invece mi era molto familiare, perché ci sono passato anch’io. Ho avuto le mie difficoltà. Nel periodo in cui lo racconta il film, Bruce è un uomo che sta per perdere il controllo, e anch’io in alcuni momenti della mia vita ho provato la stessa sensazione. Conosco quella cosa che ti si para davanti. So che aspetto ha. Perciò mi sentivo come se stessi visitando una sorta di spazio che già conoscevo per dare vita agli aspetti più privati di Bruce, e allo stesso tempo sapevo che sarei dovuto invece partire da zero per [raccontare] il Bruce che tutti conosciamo sul palco”.
Prima di girare, Scott Cooper ha incontrato il vero Springsteen. Gli viene chiesto se qualcosa sia cambiato rispetto alla percezione che ne aveva, e se anche il ritratto che ne emerge sullo schermo ne abbia risentito. «Sì, senza dubbio – risponde – sono pochissimi quelli che vivono in un’atmosfera, diciamo così, rarefatta come Springsteen. Possiamo solo avere un’idea di chi sia quella persona, e quell’idea che ti sei fatto te la porti dietro quando vai per la prima volta a incontrarla. Ma dopo neanche due minuti lui aveva già completamente distrutto l’immagine di Bruce il mito, l’icona, e mi aveva mostrato l’uomo incredibilmente generoso, divertente, umile e accogliente che è. Mi ha svelato in un attimo un lato molto umano in cui potevo riconoscere me stesso, e in cui potranno forse riconoscersi anche molti altri. E tutto questo mi ha fatto pensare: sarò in grado di raccontare davvero questa storia in cui non ci concentreremo tanto sul Bruce Springsteen che fa concerti a Roma o a Milano, ma sul Bruce Springsteen che sta lottando nel silenzio della sua casa, che ha il coraggio di guardarsi dentro, di assumersi quel tipo di rischio creativo? Ho capito immediatamente che questa sarebbe stata una delle esperienze più profonde della mia carriera».
In ultima analisi c’è tantissimo cinema, in Liberami dal nulla, nella vita di Springsteen e nella rabbia giovane per come ci viene qui raccontata. La rabbia giovane, si diceva, con il padre che lo porta a vedere La morte corre sul fiume, con il faccione di Robert Mitchum, che altra non è che è l’iniziazione alla paura, al buio del mondo adulto. Il film ci racconta una storia il più umana possibile, a detta del regista, con tutte le esperienze: la loneliness o la solitude, la disperazione e la rinascita, il tutto e il nulla – insieme, anche solo per il tempo di un film.
LA TRAMA. Ambientato all’inizio degli anni Ottanta, il film Springsteen – Liberami dal nulla ripercorre i giorni in cui Springsteen, ormai sul punto di conquistare la fama mondiale, si trovò a fare i conti con i fantasmi del passato e le pressioni del successo. L’artista, chiuso nella sua camera nel New Jersey, registrò su un registratore a quattro piste quello che sarebbe diventato Nebraska, un album asciutto e malinconico che si distaccava dai toni più energici dei lavori precedenti. Il film mostra il processo creativo di quell’opera, diventata una pietra miliare del cantautorato americano. Attraverso canzoni che raccontano le vite di uomini e donne della classe operaia, costretti a inseguire sogni destinati a infrangersi, Nebraska rappresentò per Springsteen un momento di riflessione personale e artistica, segnando una svolta nella sua produzione e nel suo modo di raccontare l’America.
IL CAST. Ad affiancare Jeremy Allen White nel ruolo di Springsteen troviamo un cast di primo piano. Jeremy Strong interpreta Jon Landau, il manager e produttore del musicista, mentre Paul Walter Hauser presta il volto a Mike Batlan, l’ingegnere del suono che lavorò con lui durante le sessioni di Nebraska. Stephen Graham dà vita a Douglas Springsteen, il padre di Bruce, con cui il cantautore ebbe un rapporto complesso e tormentato. Odessa Young interpreta Faye Romano, interesse amoroso del protagonista, e Gaby Hoffmann veste i panni di Adele Springsteen, la madre. Completano il cast Marc Maron nel ruolo del produttore e tecnico del missaggio Chuck Plotkin, David Krumholtz come Al Teller, dirigente della Columbia Records, Harrison Gilbertson nei panni dell’amico Matt Delia, Grace Gummer nel ruolo di Barbara Landau, moglie di Jon, Chris Jaymes come l’ingegnere del mastering Dennis King e Johnny Cannizzaro come Steven Van Zandt.
FONTI: Esquire, Rolling Stones,20TH Century Studios