di Piero Di Antonio
— La notizia della serata bolognese di Anna Pepe (qui nella foto di Valerio Gioviani per musicattitude.it) potrebbe riassumersi nelle spruzzate di spray al peperoncino e relativi malori che mercoledì hanno costretto a sospendere per mezz’ora il concerto all’Unipol Arena. Da tempo siamo alle prese con un tale allarmante fenomeno, tra i tanti, del bullismo imperante. Scandalizza e preoccupa, ma senza conseguenze pratiche poiché è solo un arriverderci alla prossima affollata manifestazione in cui verrà tirata fuori la nuova arma del teppismo e dell’incoscienza. Un’altra riflessione che ci ha offerto la serata del palasport è la marginalità della scuola nell’educazione dei nostri figli, assimilabile a una lotta contro i mulini a vento della falsa modernità che sta modellando la generazione che tra qualche anno sostituirà quella dei padri e dei nonni.
Come i pesciolini di David Foster Wallace che non sapevano cosa fosse quel liquido in cui stavano nuotando – questi ragazzi non potrebbero a loro volta saper descrivere com’è l’acqua in cui nuotano a migliaia. Le ragazzine osannanti che acclamavano la star del momento, la stella di Spotify, sono una piccola fetta dei milioni di follower che la cantante o rapper, o trapper, o come diavolo si può definire, ha saputo conquistare con moine, balletti ammiccanti ma senza appeal, atteggiamenti da dura, con frasi spicce come sanno pronunciarle, vantandosene pure, talentuose persone determinate a raggiungere il successo a ogni costo.
Dove sta a questo punto il limite della nostra scuola? Ad assistere al concerto nel palasport strapieno si è percepito la qualità dei legami tra un’artista non proprio eccelsa, anzi abbastanza mediocre nella voce e nei testi, e il suo pubblico di adolescenti arrivati da ogni parte dell’Emilia sobbarcandosi il viaggio e, dopo ore di attesa ai cancelli, sfogando per più di due ore il proprio entusiasmo, fin dall’apparizione dell’idolo. Lo specchio della scuola odierna riflette l’immagine dei genitori che hanno accompagnato la figliolanza all’appuntamento con il concerto. Se ne stavano in disparte, con l’occhio lungo a controllare le cucciole di casa. Ragazze orgogliose di vivere un importante momento collettivo, un appuntamento quasi amoroso che richiede preparazione e trucco particolari.
Nel parterre del palasport vagavano, sorridenti e sicure di sè, anche undicenni-dodicenni con arditi hot pants. Vestire come si vuole, anche stupendo chi è più in là con la vita, è la riaffermazione di un desiderio di libertà tipica dell’età evolutiva. Ma la sorpresa è arrivata non appena la star da due milioni e mezzo di follower ha cominciato il suo show, accompagnata da ballerini che dovevano sublimarne la performance.
Si son viste cose che noi umani non avremmo mai potuto immaginare. Mamme di bell’aspetto, ben curate, accompagnavano i brani dimostrando di conoscere tutti i testi, parola per parola. Ergo, non solo concerto per ragazzine, ma anche per mamme desiderose, così almeno sembrava, di rivivere gli entusiasmi d’un tempo che il dover accudire i figli ha in parte affievolito.
E allora chiediamoci: chi preparerà la generazione dell’Unipol Arena al futuro? La scuola? Siete disposti a scommetterci? Meglio dubitare. Quale incidenza possono avere i ragionamenti e le esortazioni di insegnanti ancora coraggiosi che tentano di insinuare nei loro studenti la passione e il rispetto per la cultura, la conoscenza, per il rispetto, quando i nuovi maestri del pensiero, trascinatori di masse giovanili spinti da dietro le quinte da furbi manager, ci propinano capolavori di testi sconclusionati, a volte cattivi e brutti, legati in parte allo slang dei troppo sicuri di sè, dei prepotenti o di potenziali piccoli boss di quartiere?
Mentre nella testa rimbombavano ritmi sincopati del rap e frasi isenza alcun filo logico a legare parole e concetti – si arriva ai perché si faccia fatica a comprendere un fenomeno – non solo Anna Pepe ma di un esercito di rapper – che sta influenzando, sotto i nostri occhi, tanti giovanissimi – non tutti però visto il ritrovato e intelligente impegno giovanile degli ultimi anni – sfuggiti al controllo delle famiglie e della scuola. Forse – dice uno dei pochi padri presenti che si aggirava abbastanza defilato dal cuore dello show – perché “ascoltano per ore e ore canzoni brutte, vestono in modo brutto e parlano male”. Analisi forse frettolosa ma che va registrata. Addio costruzione di un concetto: domina la nuova estetica che soppianta la ricerca dello stile, dell’eleganza semplice e accattivante, del ragionamento sensato, a tutto vantaggio dell’estemporaneità degli atteggiamenti da grandi in corpi ancora acerbi.
Vediamo allora cosa ci dicono le parole di Anna Pepe? “Bevo vodka dalla bocca, perché io faccio le regole” oppure “… se non sono felice poi mi sparo“, o ancora “sono sexy senza bikini, tutti i ragazzi vogliono darmi bacini“, e continuando “Voglio fare big money, prendo casa a Miami…”. C‘è anche un richiamo da coma etilico, in evidente contrasto con le raccomandazioni che ogni mamma fa alla figlia che va in discoteca: “Ti son venuto a cercare dopo il terzo mescal (…) Io non bevo il Nero d’Avola (…) Faccio vedere a tutti come si beve”. “Tutta Dior, sembro una bambola”. In questo bignami da influencer emergono linguaggi e gesti che seppelliscono il lontano, ingenuo e stucchevole romanticismo d’un tempo, lo sfogliare la margherita. Nel contempo, però, mettono da parte l’enorme mole di saperi e intelligenti riflessioni che un qualsiasi buon insegnante sa instillare nella loro mente. La signora, infatti, non fa ricorso alla margherita, la recide di colpo: “Sto facendo m’ama, non m’ama, non m’ama / Con delle banconote da cinquanta, le lancio tutte in aria”. Dichiarazioni di questo tenore farebbero drizzare i capelli in qualsiasi contesto. Qui diventano messaggi cult, fascinosi ma diseducativi, che penetrano nelle menti dei più indifesi.
E del viaggio che dire? Basta una tappa a Miami, ci indica la Pepe mentre sfoglia le banconote da cinquanta euro che gli stessi ragazzi le hanno elergito affollando social e concerti, con l’aggiunta di una bottiglia di mescal, che sarebbe poi quel liquore messicano da 40 gradi che fa perdere la testa. Alla faccia delle paure che affliggono gli ansiosi genitori, dei grandi della scienza, della letteratura, delle arti, della trasmissione del sapere e delle esperienze, alla faccia dell’educazione e del preparare alla vita … uffa che noia, ci direbbero. Dietro questo fenomeno non si possono non citare i furbissimi manager delle case discografiche e delle varie piattaforme social che sanno come sfruttare il prodotto che tira e che produce tanto ma tanto denaro: l’entusiasmo e l’inesperienza dei giovanissimi. Quindi, oltre al peperoncino e ai teppisti che lo spruzzano provocando malori e caos, brucia, e per più tempo, il vedere quel popolo accalcato nel parterre e sugli spalti che sembra emanare una luce soltanto, quella delle torce dei telefonini. Troppo poco, almeno per ora.
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NOTA: ecco i testi di due tra le più note canzoni di Anna Pepe.
BIKINI
Lui fa il gangsta sopra i social / Ma dal vivo è un uomo debole / Si beccherà una denuncia Per pubblicità ingannevole / Bevo Vodka dalla boccia / Perché faccio io le regole / Mastico con la bocca aperta (…) Passami la bottle / Sai che sono bella come una model / Anche quando sbaglio non imparo / O la accetti oppure me ne vado / Non me ne frega nulla di fare il grano / Perché se non sono felice poi mi sparo / Baddies vengono a cantare allo stadio (…) / Sono sexy senza bikini / Tutti i ragazzi voglion darmi bacini (…) Voglio fare big money / Prendo casa a Miami Baby, please, stop calling me / Non ho tempo per i gossip Voglio fare big money Prendo casa a Miami Baby, please, stop calling me.
DESOLE’E
Mi sono persa dentro questa festa / Ti son venuto a cercare dopo il terzo mescal (liquore messicano di 40 gradi alcolici, ndr) / Solamente con te non so fare la tosta / Non c’è nessuno che può domare una leoneFaccio vedere a tutti come si bevessa / Sto facendo m’ama, non m’ama, non m’ama / Con delle banconote da cinquanta, le lancio tutte in aria/ Stasera io non faccio come si deve / (…) / Vuoi fare il loco, ma io sono più loca di te Non farmi andare in quella modalità (…) Tutta Dior, sembro una bambola, ah Vieni a parlarmi tu, non stare lì / Ma fai attenzione, c’è il mio ex che svalvola Son tutta messa, io non bevo il Nero d’Avola (…) Faccio vedere a tutti come si beve / Non mi vuoi vedere, allora peggio per te Chiamare un altro però cosa mi dà? / Io non chiedo scusa, non sono désolée / Ma di notte io mi attivo / Lo sai bene quello che voglio, yeah Con me non puoi fare il cattivo”.
