Elon Musk piazza una “bomba a orologeria” sotto la poltrona di Donald Trump alla Casa Bianca. Il miliardario, ex grande sostenitore a suon di milioni di dollari del presidente americano, torna a incalzare l’amministrazione Trump sul caso Epstein, l’ex finanziere miliardario morto in carcere dopo l’arresto per abusi sessuali anche su minorenni, alimentando il malumore all’interno del movimento MAGA e le polemiche contro la ministra della Giustizia, Pam Bondi, fedelissima del presidente.
«Pubblicate i file di Epstein come promesso», ha scritto su X, rilanciando un appello già fatto a giugno – poi cancellato – in cui accusava apertamente Trump di essere incluso nella lista nera dell’entourage di Epstein. Per Musk, Epstein è il vero tallone d’Achille dell’amministrazione: un buco nero di opacità e reticenze che mina la credibilità di chi promette trasparenza assoluta.
Forti malumori anche tra i Repubblicani. Tucker Carlson, ex volto di Fox News, ha denunciato la gestione opaca dell’indagine: «Il governo per cui ho votato si rifiuta di prendere sul serio le domande. ‘Caso chiuso’, dicono. Ma noi non ci accontentiamo più». Perfino Fox News ha lanciato un allarme. Charles Hurt, Rachel Campos-Duffy e Kevin Corke hanno sottolineato che «il caso Epstein richiede risposte» e che «ci sono ancora molte domande valide rimaste senza risposta».
Charlie Kirk, fondatore di Turning Point USA, ha avvertito che il caso rischia di «sfiatare l’entusiasmo della base», paragonando la delusione a «un palloncino che si sgonfia». Ha definito i giovani trumpiani “i Ragazzi Perduti del MAGA”, e ha ammonito che, senza risposte, una parte del movimento potrebbe disimpegnarsi del tutto.
Megyn Kelly ha attaccato duramente Bondi in un podcast virale: «Non possiamo perdere pezzi della base per colpa sua». Steve Bannon, furioso, ha avvertito: «Se perdiamo il 10% ora, perdiamo la presidenza. Non dovranno nemmeno rubarcela».
Quella che per anni era stata l’arma retorica più potente contro il «deep state» democratico, il caso Epstein, sta ora diventando fonte di imbarazzo e tensione per Trump che sull’argomento ha perso parte della sua baldanza. A cinque anni dalla sua misteriosa morte in carcere (assenza di sorveglianza, due guardie che dormivano…), il miliardario accusato di traffico sessuale continua a far tremare Washington. Ma questa volta, le domande non arrivano dai nemici del Presidente, bensì dalla sua base elettorale.
Il caso prende il nome da Jeffrey Epstein, un finanziere americano arrestato nel 2019 con l’accusa di traffico sessuale di minori e abusi su decine di ragazze, alcune delle quali minorenni. Epstein era noto per i suoi legami con potenti figure internazionali – tra cui politici, imprenditori e anche reali – e per aver organizzato feste private nelle sue proprietà, dove sarebbero avvenuti gli abusi.
Il caso ha scatenato clamore mondiale sia per la portata degli abusi, sia per il sospetto che Epstein stesse ricattando uomini influenti. La sua morte in carcere nel 2019, classificata come suicidio, ha alimentato la teoria del complotto: molti credono sia stato ucciso per impedirgli di parlare e proteggere nomi eccellenti coinvolti nella sua rete. A rendere la vicenda esplosiva è un dettaglio che viene eluso spesso dalla narrativa ufficiale: la lunga e documentata amicizia tra Donald Trump e Jeffrey Epstein negli anni Ottanta e Novanta (Nella foto dalla ABC Jeffrey Epstein e Donald Trump negli anni della loro amicizia) . I due frequentavano gli stessi club, le stesse feste, spesso immortalati insieme. E oggi, mentre la Casa Bianca tace e i file promessi non vengono pubblicati, anche tra i fedelissimi cresce un sospetto: Trump sta proteggendo la verità, o sta proteggendo se stesso?
Nella foto dalla ABC Jeffrey Epstein e Donald Trump negli anni della loro frequentazione