Carte mancanti e molti omissis nei dossier sul finanziere pedofilo desecretati dal governo, mentre si fa strada la messa in stato di accusa della segretaria alla Giustizia, Pat Bondi. I pochi file sul presidente americano sono imbarazzanti e così i Democratici accusano il Dipartimento di Giustizia di usare Clinton “per nascondere Trump”. Il giornalista Wolff, confidente del pedofilo Epstein, ha oggi dichiarato che “sia Trump, sia il finanziere rano fissati con le modelle giovanissime, e di certo non verificavano l’età”. Lo scopo dell’inchiesta non è più trovare la verità, ma farne un uso politico. E Dai caveau di Jeffrey Epstein emergono in fotografia pacchetti di condom con il volto di Donald Trump. Il presidente è al centro della nuova selezione di scatti, in uno de quali si vede una ciotola con buste di preservativi in vendita a 4,50 dollari, ciascuna con una caricatura del volto dell’attuale presidente e la scritta “I’m HUUUUGE!”, sono enorme. Un’altra immagine ritrae un Trump giovane circondato da sei donne che indossano ghirlande di fiori e hanno i volti oscurati.
Le conseguenze. Epstein e il suo club esclusivo sono l’essenza agli occhi Maga, il movimento che ha sostenuto Trump, di quel mondo da combattere. Ecco perché non basta l’azione di Trump di indirizzare le indagini su eventuali connessioni colpevoli verso i democratici, Bill Clinton in testa. I documenti provano che il futuro Presidente , il supposto alfiere del popolo , era in realtà parte integrante delle élites, organizzava concorsi di bellezza con minorenni, prendeva parte a feste e provini, e poco importa che non esista la prova documentale di una sua violenza sessuale. D’altronde sono almeno cinque le donne (alcune minorenni) che hanno rinunciato a fargli causa grazie a risarcimenti milionari. E’ per questo che la conseguenza più politicamente pericolosa per Trump non viene dai Democratici ma dal suo partito, dai Repubblicani.
L’aggiornamento da New York sul caso Epstein.
di Massimo Jauss *
— C’è una scena che a Washington conoscono bene, quella in cui le promesse di fare luce su una vicenda vengono annunciate a gran voce e immediatamente si entra in un’altra stanza buia. Il caso Epstein, che da anni vive sul confine fra giustizia e mito, fra cronaca giudiziaria e ossessione nazionale, si muove esattamente lì, nel punto in cui ogni documento pubblicato non chiude una ferita ma ne apre subito un’altra. Questa volta, però, la ferita è più profonda del solito, perché non riguarda solo ciò che viene rivelato, ma ciò che scompare.
Sabato il Dipartimento di Giustizia ha caricato nuovi documenti, fotografie e materiali investigativi legati a Jeffrey Epstein, un giorno dopo la scadenza fissata dall’Epstein Files Transparency Act, la legge approvata dal Congresso in autunno per obbligare il governo a rendere pubblici, entro trenta giorni, i documenti non classificati sul finanziere condannato per reati sessuali, morto misteriosamente in carcere nel 2019 mentre era in attesa di processo per traffico sessuale.
Venerdì erano già stati pubblicati migliaia di file. Invece di chiudere la partita, quella prima tranche ha acceso le critiche, da destra e da sinistra, perché non rispettava né la scadenza né l’aspettativa costruita attorno a una parola diventata ormai tossica, “tutto”.
È un “tutto” che nessuno sembra più disposto a pronunciare. Todd Blanche, viceprocuratore generale, lo aveva detto senza giri di parole. Il rilascio sarebbe stato massiccio ma non definitivo, “centinaia di migliaia” di documenti subito, altri “centinaia di migliaia” nelle settimane successive. La motivazione ufficiale è quella che il Dipartimento ripete come un mantra, la necessità di proteggere le vittime, oscurare nomi, dettagli personali, elementi identificativi. Una motivazione legittima in astratto, ma che diventa politicamente fragile quando l’operazione appare incompleta, disordinata e incoerente, mentre fuori dal Congresso le vittime chiedono esattamente l’opposto, la pubblicazione integrale dei file, senza filtri e senza rinvii.
LEGGI ANCHE
La notizia che ha fatto saltare il banco, però, non è stata l’ennesima pagina annerita o una fotografia di una villa. È stata la scomparsa improvvisa di alcuni file. Documenti che venerdì erano disponibili nella “Epstein Library” del Dipartimento di Giustizia e che sabato non lo erano più. Spariti senza una nota, senza un avviso, senza una spiegazione. Almeno sedici file, secondo le ricostruzioni, rimossi nel giro di meno di ventiquattro ore.
Fra questi c’è l’immagine che ha trasformato il sospetto in accusa. Una fotografia che, secondo i democratici della Commissione di Supervisione della Camera, mostrava materiale appartenuto a Epstein e includeva due immagini di Donald Trump, una con Melania, Epstein e Ghislaine Maxwell, un’altra con Trump circondato da donne in costume da bagno. Il PDF non è più accessibile sul sito del Dipartimento.
È bastato quel vuoto, il link che non porta più a nulla, per far ripartire tutto, accuse, rivendicazioni, sospetti. E per rafforzare l’idea che qualcuno stia cercando di proteggere l’immagine del presidente. I democratici della Commissione hanno chiesto apertamente “cos’altro viene insabbiato”, chiamando in causa direttamente la procuratrice generale Pam Bondi. Il Dipartimento di Giustizia, nel frattempo, non ha fornito spiegazioni immediate, lasciando che la domanda crescesse, se si sia trattato di un errore tecnico o di una decisione presa più in alto.
Nel frattempo, la pubblicazione è continuata. Nuovi file mostrano fotografie degli immobili di Epstein a New York e in Florida, materiali del gran giurì, appunti scritti a mano, messaggi telefonici annotati su foglietti. In alcuni compaiono frasi inquietanti, chiamate perse, richieste di richiamare, la parola “donne” ripetuta con una naturalezza che è già un atto d’accusa. I nomi sono quasi sempre oscurati. Ma non sempre. In un appunto senza data e senza messaggio compare una sola riga, la chiamata proveniva da “Donald Trump”. Un dettaglio che da solo non prova nulla, ma che in questo clima diventa carburante puro, perché suggerisce senza spiegare e mostra senza contestualizzare.
È qui che emerge la frattura più profonda, quella fra ciò che la legge promette e ciò che il rilascio effettivamente consegna. La stanza buia, appunto. L’Epstein Files Transparency Act consente oscuramenti per proteggere le vittime e per non compromettere indagini in corso, ma vieta esplicitamente di omettere informazioni solo perché politicamente imbarazzanti o dannose per figure pubbliche. Quando una foto che coinvolge il presidente appare e poi scompare, l’effetto non è prudenza, ma l’impressione di un riflesso automatico, la mano che si ritrae proprio nel punto in cui il potere viene sfiorato.
La reazione, così, non arriva solo dai Democratici. Anche alcuni repubblicani che avevano sostenuto la legge parlano apertamente di violazione. Thomas Massie accusa il Dipartimento di non rispettare né lo spirito né la lettera dell’atto approvato dal Congresso. Nancy Mace rilancia con una richiesta secca, “pubblicate i dossier”. È uno dei pochi terreni in cui due Americhe che non si parlano più si trovano improvvisamente d’accordo, sul caso Epstein lo Stato continua a decidere cosa mostrare e cosa no, e anche quando è costretto ad aprire gli archivi lo fa con il freno tirato.
Per le vittime, intanto, il nodo resta semplice. Non cercano un archivio spettacolare né un album di fotografie mondane, ma documenti che spieghino le scelte della procura, i silenzi, le omissioni, le ragioni per cui Epstein è riuscito per anni a evitare l’urto pieno della giustizia federale. Di fronte a pagine completamente oscurate e a file che scompaiono, la sensazione è che la protezione invocata finisca ancora una volta per coprire i forti più dei fragili.
Così la “Epstein Library” diventa l’ennesimo campo di battaglia. Un luogo dove i documenti escono a scaglioni e alcuni possono anche sparire. È la peggiore delle combinazioni, perché non chiude il caso, lo rende infinito. E mentre Washington continua a misurare le parole e a chiedere tempo, resta una domanda sospesa, se persino ciò che è stato pubblicato può essere cancellato senza spiegazioni, che valore ha oggi la promessa di trasparenza.
* The Voice of New York
