Un Donald Trump fuori controllo. Il suo stato mentale comincia a preoccupare democratici e repubblicani per le continue sfuriate e gli attacchi scomposti all’opposizione senza contare gli insulti ai giornalisti e alle giornaliste. L’ultimo episodio ieri mattina quando ha scritto sul suo social, Truth, che alcune affermazioni di sei parlamentari dem meritano la morte: “Impiccateli”. I sei avevano ricordato che la legge consente ai militari di non eseguire ordini illegali. A rendere furioso Trump anche un sondaggio dell’Economist che attribuisce al presidente un calo del 16% nel gradimento degli americani. Ecco cosa The Voice of New York scrive sulla vicenda.
di Massimo Jauss *
Il passaggio definitivo nella spirale verbale di Donald Trump si è consumato in piena notte, su Truth Social, con la furia disordinata di uno sfogo senza filtri. “COMPORTAMENTO SEDIZIOSO, PUNIBILE CON LA MORTE!”, ha scritto il presidente, indicando sei parlamentari democratici come potenziali traditori da giustiziare. Subito dopo ha rilanciato un altro post, non suo, che diceva: “IMPICCATELI, GEORGE WASHINGTON LO FAREBBE!!”. Un crescendo metastatico che ha mostrato, agli occhi di molti, non solo l’aggressività abituale del presidente, ma una vera e propria perdita di controllo. Una confusione mentale che la Casa Bianca prova a minimizzare, mentre i democratici si muovono come se la minaccia fosse reale.
Il crimine dei sei legislatori? Avere registrato un video, ormai virale, rivolto ai militari e agli appartenenti alla comunità dell’intelligence, in cui ricordano che nessuno è tenuto a eseguire ordini illegali. Nessun riferimento a un caso specifico, solo una constatazione di diritto, parte dell’addestramento ordinario delle forze armate. Nel video compaiono il senatore Mark Kelly, ex astronauta della Marina; il deputato Chris Deluzio, veterano anche lui; la deputata Maggie Goodlander; la deputata Chrissy Houlahan; il deputato Jason Crow; e la senatrice Elissa Slotkin, ex analista della CIA che ha prestato servizio militare in Iraq. Slotkin stessa ha raccontato al New York Times di aver ricevuto segnalazioni di militari preoccupati per la legalità delle operazioni contro presunte navi della droga nei Caraibi e per l’uso politico della Guardia Nazionale nelle città democratiche.
IL VIDEO DEI DEMOCRATICI USA (inglese)
Nelle ore successive alla pubblicazione del video, alcuni funzionari dell’amministrazione hanno accusato i parlamentari di “incoraggiare una ribellione” contro il comandante in capo. Poi, la reazione del presidente è esplosa in un vortice di post sempre più violenti, alcuni firmati direttamente “Presidente DJT”, il che indica che non sono stati pubblicati da staff o ghostwriter. “Questo è davvero grave e pericoloso per il nostro Paese. Le loro parole non possono essere tollerate. COMPORTAMENTO SEDIZIOSO DA TRADITORI!!! CHIUDETELI IN FERMO???”, ha scritto.
Un linguaggio che capovolge la logica costituzionale: l’illegalità non riguarda chi ricorda la legge, ma chi si permette di metterlo in discussione.
Il tempismo è lacerante. L’amministrazione è assediata dalla crisi degli Epstein Files, con accuse di insabbiamento e fuga di controllo. La base MAGA è spaccata, i sondaggi puniscono il presidente (a 305 giorni dall’insediamento alla Casa Bianca, Trump ha perso, secondo l’Economist, il 16% di gradimento, da 56% a un misero 40%), le tensioni interne al partito sono palpabili. In questo contesto, le minacce di morte hanno il sapore di uno scatto nervoso irrazionale, di una mente politica sotto pressione che fatica a distinguere tra critica, dissenso e tradimento.
La reazione democratica è stata immediata. Una dichiarazione congiunta dei sei parlamentari ha rimesso al centro la Costituzione: “La cosa più significativa è che il presidente considera punibile con la morte la nostra riaffermazione della legge. Nessuna minaccia ci distoglierà dal nostro sacro obbligo”. Ma è dalle leadership del Congresso che è arrivato il segnale più netto della gravità della situazione. Chuck Schumer ha preso la parola in Senato e ha detto quello che finora nessuno aveva osato dire ad alta voce: “Il presidente degli Stati Uniti chiede l’esecuzione di funzionari eletti. È una minaccia mortale, ed è mortalmente grave”.
Alla Camera, Hakeem Jeffries, Katherine Clark e Pete Aguilar hanno usato parole altrettanto dure: “Condanniamo inequivocabilmente le disgustose e pericolose minacce di morte di Donald Trump”. Poi l’annuncio che ha fatto capire fino a che punto si ritenga la situazione fuori controllo: “Siamo in contatto con il Sergente d’Armi e la Polizia del Campidoglio per garantire la sicurezza dei membri e delle loro famiglie”. Una frase che riporta alla memoria i giorni bui dopo il 6 gennaio: quando un presidente parla di impiccagioni, l’apparato di sicurezza smette di considerarlo un’esagerazione retorica.
La Casa Bianca, messa all’angolo, ha provato a ridurre tutto a un equivoco. La portavoce Karoline Leavitt ha risposto “no” quando le è stato chiesto se Trump intendesse davvero l’esecuzione dei parlamentari. Poi ha attaccato i democratici per aver “incoraggiato il personale militare a sfidare gli ordini legittimi del presidente”, rovesciando ancora una volta la realtà: il video parlava solo di ordini illegali. Di fatto, la Casa Bianca ha riconosciuto implicitamente la necessità di difendere il presidente da sé stesso, cercando di reinterpretare le sue parole come un’iperbole. Ma le parole restano lì, ancora pubblicate, ancora visibili, ancora condivise milioni di volte.
Il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, che pochi mesi fa ha visto la propria casa incendiata, ha scritto che il presidente “sta incoraggiando attivamente la violenza politica ancora una volta”, e che “i suoi complici condannano il linguaggio violento solo quando fa comodo”. Una constatazione che fotografa perfettamente la dinamica: la destra istituzionale finge di non vedere, la base estremista interpreta le parole presidenziali come ordini in codice.
Il punto più inquietante è proprio questo: il presidente aveva passato settimane a chiedere una “de-escalation”, specie dopo l’assassinio dell’attivista conservatore Charlie Kirk. “La violenza è una tragica conseguenza della demonizzazione”, aveva detto dallo Studio Ovale. Ma nelle sue ultime ore online non c’era traccia di quello spirito. I suoi messaggi parlavano di traditori, impiccagioni, incarcerazioni di massa. “Incriminateli tutti”, “traditori”, “comportamento sedizioso”: un rosario di parole che non ha nulla a che vedere con la stabilità di un leader, e molto con l’ossessione di un uomo in guerra con tutto ciò che lo circonda.
I parlamentari democratici hanno chiuso il loro video con la frase “Non mollate la nave”, il motto del capitano James Lawrence durante la guerra del 1812. Trump risponde con “IMPICCATELI”. In mezzo c’è la distanza tra chi tenta di ricordare la legge e chi, nel caos della propria stessa retorica, sembra smarrire la distinzione tra il potere e il delirio.
E mentre la Casa Bianca prova a dare una forma razionale a un presidente che razionale sembra essere sempre meno, i parlamentari democratici chiamano la polizia. Perché quando il comandante in capo dice che sei parlamentari meritano la morte, la minaccia non è politica: è fisica. E nessuno a Washington può più permettersi di ignorarla.
* The Voice of New York
