martedì 16 Settembre 2025

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Arriva la stretta sul caos dei dehors

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Sta per finire la stagione dei dehors liberi: il governo introdurrà nuove regole più rigide, affidando ai Comuni maggiori poteri. L’obiettivo è un maggiore equilibrio tra commercio, decoro urbano e tutela del patrimonio. I dehors sono aumentati a dismisura in tutte le città italiane. Nel contesto di ristoranti, pizzerie e bar, un dehor è un’area esterna attrezzata con sedute, tavoli e, spesso, elementi decorativi come piante, luci e riscaldatori spesso d’intralcio al passaggio, al godimento degli spazi pubblici e dei monumenti.

I dehors si sono rapidamente trasformati in un elemento stabile e, talvolta, controverso del paesaggio urbano italiano. Con la fine definitiva del regime emergenziale del Covid per il 31 dicembre 2025, il governo si prepara a voltare pagina, ponendo fine alla cosiddetta  fase del “liberi tutti” che ha visto proliferare tavolini, pedane e gazebi su marciapiedi, sampietrini e piazze, spesso senza una regia coerente creando spesso intralci ai pedoni. In altre parole, il caos urbano.

E’ in arrivo una nuova disciplina nazionale più strutturata, con regole più chiare che prevedono poteri rafforzati ai Comuni e un uso più selettivo del parere delle Sovrintendenze, limitato ai casi “eccezionali”.

Il provvedimento, ancora in fase di rifinitura prima dell’esame definitivo in Consiglio dei Ministri, nasce da un’esigenza duplice: da un lato contenere il caos urbano denunciato da amministrazioni locali, residenti e associazioni per la tutela del decoro, dall’altro non tornare a una rigidità pre-pandemica che oggi risulterebbe impraticabile per molti esercenti.

Il cuore della riforma punta a riscrivere le regole che disciplinano l’occupazione di suolo pubblico da parte di bar, ristoranti e locali. L’obiettivo è duplice: semplificare le procedure e chiarire quando è davvero necessario il parere della Sovrintendenza. Secondo la bozza del decreto, il vincolo paesaggistico scatterà solo in presenza di dehors collocati strettamente prospicienti a beni culturali di eccezionale valore identitario — come chiese, monumenti nazionali o luoghi simbolo delle città. In tutti gli altri casi, l’autorizzazione passerà direttamente dai Comuni, seguendo la normale disciplina dell’occupazione di suolo pubblico.

Una vera e propria svolta rispetto al passato, dove il parere della Sovrintendenza era spesso necessario anche in situazioni marginali, rallentando l’iter e creando incertezze. Ora si punta a un’applicazione più ragionevole e proporzionata, come richiesto esplicitamente dalla delega parlamentare.

Il Ministero della Cultura sarà comunque chiamato a stilare, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, un elenco ufficiale dei luoghi meritevoli di tutela “speciale”, da pubblicare sui siti dei Comuni. Questo elenco dovrà basarsi su criteri precisi, come la contiguità spaziale diretta e il rapporto visivo immediato tra il bene tutelato e lo spazio interessato dal dehors.

Questa nuova impostazione potrebbe semplificare la vita di molti esercenti, ma allo stesso tempo crea una linea di confine netta che rischia di generare disuguaglianze fra attività simili: ad esempio, un ristorante potrebbe ottenere l’autorizzazione in una zona vietata a una gelateria o a un fioraio. Un dettaglio tecnico, ma potenzialmente molto rilevante per gli operatori.

 Se il governo ha deciso di intervenire, è anche — e soprattutto — per le pressioni arrivate dai sindaci, in particolare quelli delle città d’arte e dei centri storici. Il caso più emblematico è quello di Roma, dove il sindaco Roberto Gualtieri ha chiesto esplicitamente di porre fine alla “giungla” dei dehors post-Covid. In un contesto come quello della Capitale, con interi quartieri compresi nell’area Unesco, l’esplosione incontrollata di tavolini, pedane e strutture esterne è stata vissuta come una minaccia sia al decoro urbano che alla vivibilità per residenti e turisti. “Una ferita tra le vie centrali della città eterna”, l’ha definita il primo cittadino.

A Roma si è già intervenuti a livello locale con un nuovo regolamento approvato dall’assemblea capitolina: meno dehors nel centro storico, più libertà nelle periferie per incentivare l’economia di quartiere e migliorare la sicurezza urbana. Anche le tariffe agevolate introdotte durante la pandemia sono state eliminate, con un aumento del canone di occupazione del suolo pubblico usato come vero e proprio strumento dissuasivo.

Non è solo una questione estetica. Secondo molte amministrazioni, l’anarchia dei dehors compromette anche la fruibilità degli spazi pubblici, ostruendo passaggi pedonali, riducendo la visibilità stradale e trasformando strade e piazze in zone affollate e caotiche. Una critica condivisa da diverse associazioni, come il Codacons, che ha parlato di un “caos” dannoso anche per l’immagine turistica dell’Italia. In questo contesto, la nuova disciplina rappresenta un tentativo di restituire ai Comuni un ruolo attivo, consentendo loro di siglare accordi diretti con le Sovrintendenze territoriali per stabilire criteri e regole condivise, da trasformare in regolamenti o delibere che garantiranno autorizzazioni automatiche per chi si attiene alle linee guida stabilite.

La nuova regolamentazione sui dehors segna un passaggio delicato: da un lato rappresenta una boccata d’ossigeno per i Comuni e per chi vive nei centri storici, dall’altro rischia di generare nuove incertezze e disparità per gli operatori economici.

Per i bar, ristoranti e locali che avevano trovato nei dehors un modo per rilanciare l’attività durante e dopo la pandemia, le nuove regole impongono una riorganizzazione: in alcune aree potranno continuare a utilizzare spazi esterni con semplicità, in altre dovranno fare i conti con nuove limitazioni, costi più elevati e vincoli più severi.

Le criticità maggiori potrebbero emergere in quelle zone dove la tutela del patrimonio culturale è più stringente, e dove anche piccole differenze di posizione — come l’essere “strettamente prospiciente” o meno a un monumento — potranno decidere il destino di un dehors. Ciò potrebbe generareparadossi normativi: un ristorante potrebbe godere di condizioni favorevoli, mentre un’attività simile, magari a pochi metri di distanza ma in zona tutelata, potrebbe essere costretta a rimuovere tutto.

I residenti, d’altro canto, potrebbero finalmente vedere riconosciuto il diritto a una maggiore vivibilità urbana, soprattutto nelle zone turistiche dove l’occupazione incontrollata degli spazi pubblici aveva generato rumore, degrado e disagi quotidiani. Anche i turisti potrebbero trarne beneficio: non più centri storici saturi di tavolini e pedane improvvisate, ma piazze e vie più ordinate, più coerenti con il patrimonio storico che rappresentano.

Resta però un interrogativo aperto: riuscirà il nuovo sistema a garantire davvero equità e semplificazione, o si creeranno nuove ambiguità da risolvere localmente, caso per caso? Molto dipenderà dalla chiarezza dei criteri ministeriali e dalla capacità delle amministrazioni locali di attuare la riforma con equilibrio.

FONTI: agenzie di stampa, Il Sole 24Ore, edilizia.com, Comuni italiani

 

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