Non da oggi si parla e ci si preoccupa delle infiltrazioni mafiose, in particolare della ‘ndrangheta, nel ricco Nord, specialmente dopo le continue denunce sulla stampa, in tv e sui social del procuratore Nicola Gratteri. Un’emergenza che già quindici anni fa una giovane giornalista, Sara Di Antonio, segnalò in un libro “Mafia, le mani sul Nord” con prefazione di Antonio Nicaso. Il processo Aemilia (nella foto, alcuni imputati alla sbarra) sarebbe arrivato alcuni anni dopo mettendo in luce all’improvviso una realtà che molti avevano fatto finta di non vedere.
L’INTERVISTA ALL’AUTRICE
Il libro-inchiesta intreccia tre voci in un confronto serrato tra prospettive inconciliabili: il criminale ‘ndranghetista, che guarda al Nord con occhi rapaci e indifferenti; il “colletto bianco”, che tra un misto di sconcerto e disprezzo non disdegna il denaro sporco proveniente dal narcotraffico calabrese; e il pubblico ministero che affronta le miserie di una società che stenta a riconoscersi e a riconoscere.
Tre volti di un Nord Italia sotterraneo, più volte negato nella sua esistenza ma che, al contrario, muove uomini e capitali. Sfuma il confine tra mafia e antimafia, tutto è confuso, stimati professionisti si mescolano a potenti criminali, nuovi disagi e sottaciuti malesseri, un territorio in cerca di una nuova identità. A distanza di tempo è bene rileggere quelle pagìne premonitrici che spiegavano i meccanismi dell’infiltrazione mafiosa al nord. E come non riconoscere in quella denuncia le stesse strategia che assillano oggi le ricche, ma in evidente crisi, comunità del Nord Italia.