di Sara Di Antonio
Ultimo anno di liceo classico, da genitore. Potrei sperare di tornarci da nonna, ma non oso puntare sulla lucidità delle mie sinapsi future.E dunque mi beo del golfino verde della professoressa di latino e greco, che apre l’assemblea di classe – piccolo sparuto esercito di genitori, certamente di fretta, distratti e assenti pure se presenti – ricordando il discorso di Pericle sulla democrazia.
Ci bistratta facendo un collegamento tra Tucidide, lo storico, e la fatica dei tempi postmoderni, in cui nessuno osava immaginare le derive del capitalismo, il riemergere dell’imperialismo e di tutti quegli -ismi che non esistevano nel V secolo: quando la politica era cosa per pochi, ma sapevano farla bene.
Ci credevano, piuttosto, racconta lei, e per rincarare la dose ci descrive cosa è la morte per Seneca, che io ricordavo solo per le lettere a Lucilio e le citazioni che leggo ancora su Facebook, povera illusa.
Mentre la prof declama, il mio sguardo corre alla finestra, la stessa di decenni fa, e al parco, il medesimo, dove indossavo una tuta blu scuro con la banda bianca laterale -orrore!- e mi sentivo grande quando incontravo un tossico al campo Tocci. Ci sentivamo grandi con poco, allora, ma il nostro orrido cubo preferito sapeva accoglierci come fa ancora oggi, e decideva per noi cosa dovessimo sapere.
Ci strattonava con i suoi versi incompresibili, ci stordiva con la sua filosofia, e ci ricordava che a cinquant’anni gli uomini erano davvero vecchi, ad Atene, vecchi ma saggi.
Deglutisco profondamente, poi annuisco apprendendo che il nuovo esame- come un tempo- si chiamerà di nuovo maturità, la stessa che ho preso io.
Stordita, scendo le scale velocemente e osservo la piazzetta sommersa dalle foglie gialle e marroni, quasi a creare un guscio soffice ai miei tacchi rumorosi. Cerco la mia maturità, tra la vetrata trasparente e gli alberi quasi spogli, poi mi accerto che non si nasconda tra le bici appoggiate alla rastrelliera.
Infine scrollo le spalle e continuo a camminare in avanti, rimanendo perplessa, lasciandomi alla spalle il sapore agrodolce del tempo che passa e di una saggezza che non arriva mai.
