di Sara Di Antonio

La Sfinge aveva deciso di affrontare l’estate con la grinta con cui si mordono quelle mele molto rosse e dure, quando si ha fame. E continuava a guardarsi allo specchio, e stare al telefono, e uscire con l’aria di sfida di chi sa tutto. Pochi libri campeggiavano sulla sua scrivania, ma aveva l’aria di chi sa sempre dove andare. Neppure le lentiggini, comparse come ogni estate, le regalavano maggiore gentilezza, ma rafforzavano quel piglio violento e deciso.
Il Professore aveva deciso che si vive per lavorare, e un po’ di certo è vero. E dal suo studio sulla splendente via Secchi risuonavano note e ticchettii di tastiera, decisi a riportare un po’ d’ordine e molta storia della musica in questo mondo invero confuso, con convinta soddisfazione.
Io invece mi perdevo e mi ritrovavo, cercavo e venivo cercata, e vivevo di speranze, di molti sogni e di estreme paure. Gironzolavo per la città, scrutando qualcosa che mi potesse dare un segnale, ansiosa come se dovessi partire di lì a poco senza motivo. Osservavo strade, panchine, alberi, meno spesso il cielo, camminando curiosa per il quartiere.
Ma tornavo a casa sfinita, e l’unica cosa che i miei fratelli arabi sembravano dirmi, scrutandomi perplessi dal muretto e quasi rimproverando la mia ansia, era la seguente: “Adesso stai tranquilla, è arrivata l’estate”.