Il sorpasso a sinistra nell’opposizione lo fa Michele Emiliano, governatore della Puglia. C’è molto di politico nella decisione del governatore pugliese di interrompere, per conto della sua Regione, i rapporti con Israele. Una decisione che certamente attirerà la reazione del governo, della Farnesina e della maggioranza di centrodestra. Rendendo ancora più caldi i giorni che portano verso il 7 giugno, quando a Roma si svolgerà la manifestazione per Gaza convocata da Pd, M5s e Avs (da cui hanno preso le distanze i centristi di Azione e Italia Viva, che si sono convocati per il giorno prima a Milano). Ma anche il comune di Bari va in questa direzione: il consiglio comunale, infatti, ha approvato una risoluzione in cui si sostiene che la presenza di Israele alla Fiera del Levante non è gradita.
Il presidente della Regione pugliese, Emiliano, del Partito democratico, chiude tutti i rapporti con Israele. Ha emanato una disposizione a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione Puglia, delle sue Agenzie e delle società partecipate. “A causa del genocidio di inermi palestinesi in atto da parte del Governo Netanyahu – ha scritto Emiliano – da oggi vi invito a interrompere ogni rapporto di qualunque natura con i rappresentanti istituzionali del suddetto Governo e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro dei palestinesi nella striscia di Gaza. Questa è una posizione che viene assunta nei confronti del governo Netanyahu, non del popolo israeliano. Sono infatti tantissimi israeliani ed ebrei di tutto il mondo che stanno condannando il Governo Netanyahu”.
Ma la situazione, stando alle dure prese di posizione del governo di Tel Aviv, sembra ancora più grave. Il ministro di estrema destra israeliano, Itamar Ben Gvir, ha chiesto infatti a Netanyahu di entrare a Gaza ‘con tutta la forza necessaria’. Dopo la notizia secondo cui Hamas avrebbe rifiutato la proposta dell’inviato statunitense Steve Witkoff per un cessate il fuoco temporaneo “è ora di entrare nella Striscia con tutta la forza necessaria, senza battere ciglio, per distruggere e uccidere completamente Hamas”, ha scritto su X.
Il movimento palestinese ha rigettato l’accordo di tregua – che era già stato accettato da Israele – spiegando che “non soddisfa nessuna delle richieste, prima fra tutte quella di porre fine alla guerra e alla carestia”. Le riserve espresse sul piano americano hanno scatenato la reazione di Gvir. “Signor primo ministro, dopo che Hamas ha nuovamente respinto l’accordo proposto, non ci sono più scuse… Abbiamo già perso troppe opportunità”, ha detto ancora.
Intanto, all’alba, i bombardamenti dell’esercito israeliano hanno colpito varie aree della Striscia e secondo quanto riferiscono i media palestinesi sono sedici (Al Jazeera ne conta diciotto) le persone rimaste uccise dagli attacchi.
GLI AIUTI. Per quanto riguarda gli aiuti, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha dichiarato che nel suo magazzino di Amman, in Giordania, “a sole tre ore di auto da Gaza”, ci sono “scorte sufficienti per dare sostentamento a oltre 200.000 persone per un mese. Farina, pacchi alimentari, kit igienici, coperte e forniture mediche sono pronti per essere consegnati. Gaza – ha scritto su X – ha bisogno di aiuti su larga scala: è necessario consentire un flusso di rifornimenti senza ostacoli e senza interruzioni”.
Il nuovo meccanismo di distribuzione degli aiuti, gestito dalla Fondazione umanitaria per Gaza, istituita con il sostegno dei governi statunitense e israeliano, “è inadeguato e contrasta con i principi fondamentali dell’azione umanitaria, come imparzialità, neutralità e indipendenza. Inoltre, esiste il rischio concreto che venga utilizzato come strumento per favorire una pulizia etnica, incentivando lo sfollamento forzato e su larga scala della popolazione dal nord al sud della Striscia di Gaza”. Questo sistema, aggiungono, “è totalmente inadeguato, deumanizzante e incapace di fornire aiuti in modo sicuro ed efficace. Non è in grado di soddisfare le esigenze urgenti di 2,2 milioni di persone che sono state deliberatamente lasciate morire di fame per più di 11 settimane e mette in pericolo estremo chiunque cerchi di accedere alle forniture. L’aiuto non deve mai essere militarizzato e non deve mai essere usato come arma di guerra”.