giovedì 6 Novembre 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

L’OSSESSIONE DI PUTIN

Dei due oblast che lo compongono la Russia controlla la quasi totalità del Luhansk e il 75% circa del Donetsk. Anche se non esistono dati ufficiali, stime credibili indicano il computo delle vittime della parte russa in più di un milione fra morti e feriti. Quando le armi taceranno si faranno i conti e Putin sarà tenuto a giustificare le decisioni davanti alla propria opinione pubblica, seppur drogata da anni di indottrinamento mediatico. Ecco un’analisi sulla guerra in Ucraina pubblicata dalla rivista Vita.it.

di Paolo Bergamaschi

Quella del Donbass per Vladimir Putin più che una rivendicazione costruita su presupposti manipolati e farlocchi è diventata un’ossessione. Dei due oblast che lo compongono le forze russe controllano la quasi totalità del Luhansk e il 75% circa del Donetsk. Troppo poco per l’inquilino del Cremlino per presentarsi a un eventuale tavolo negoziale dopo un accordo di cessate-il-fuoco che cristallizzerebbe la linea del fronte odierna. Nel settembre del 2022 la Federazione Russa ha unilateralmente annesso quattro regioni dell’Ucraina, incluso le due del Donbass, senza controllarne completamente alcuna dopo avere inglobato la Crimea nel marzo del 2014.

Undici anni di guerra prima sobillata e poi pilotata e conclamata senza avere la decenza di chiamarla per nome spacciandola ancora oggi come ‘”operazione militare speciale”. Anche se non esistono dati ufficiali sul conflitto, stime ufficiose ma credibili indicano il computo delle vittime della parte russa in più di un milione fra morti e feriti.Si tratta di un numero spaventoso che fa il paio con quello della parte ucraina meno consistente ma altrettanto grave vista la popolazione ridotta.

Quando le armi taceranno si faranno i conti e Putin, in un modo o nell’altro, sarà tenuto a giustificare le conseguenze delle sue decisioni davanti alla propria opinione pubblica, seppur drogata da anni di indottrinamento mediatico. Come è spesso accaduto nei periodi post-bellici i veterani di guerra costituiscono una mina vagante in grado di destabilizzare la situazione se le promesse non vengono mantenute. Degli scenari di invasione dell’Ucraina ipotizzati da Mosca non si è realizzato nemmeno il “piano C”.

Evaporato in poche settimane nella primavera del 2022 il “piano A”, ovvero la rapida occupazione di Kiev e la rimozione di Zelensky, abbandonato nell’estate dello stesso anno il “piano B” che prevedeva la conquista della mezzaluna russofona che va da Kharkiv a Odessa ribattezzata in Novorossiya (Nuova Russia) dai circoli ultra-nazionalisti di Mosca, non rimane che la terza opzione ovvero la rivendicazione originale con il pieno controllo del Donbass e almeno a questa Vladimir Putin non vuole o non può rinunciare. Se lo facesse sarebbe a rischio di contraccolpi interni dagli sviluppi imponderabili.

In questo contesto trovare la quadra per Donald Trump, assurto al ruolo di pacificatore, è un’impresa davvero complicata al punto di indurlo a congelare il vertice con il pari grado russo che avrebbe dovuto tenersi a Budapest nel giro di pochi giorni dopo la lunga telefonata del 16 ottobre. Poche settimane fa mi trovavo a Izium, uno dei punti caldi dell’oblast di Kharkiv a ridosso della linea del fronte. Parlando in un bunker con i membri di un centro operativo di soccorso e evacuazione dei soldati feriti mi descrivevano la situazione come difficile ma tutto sommato stabile. Yuri e Disney, i due uomini poco più che trentenni che dirigevano le operazioni mostravano sulla cartina la linea di contatto che negli ultimi mesi, nella zona, non si è praticamente mossa.

Originario di Dnipro il primo e di Kyiv il secondo mi raccontavano di essere a disposizione 24 ore al giorno sette giorni su sette ma di non provare per questo stanchezza o nostalgia di una casa che non visitavano da tempo. «Il 70% dei feriti una volta ristabiliti vuole tornare al fronte», sottolineavano con convinzione a dimostrazione della determinazione del popolo ucraino a resistere all’aggressione russa nonostante la disparità delle forze in campo.

La guerra, però, non fa sconti a nessuno tra i muri degli edifici bucati dai proiettili degli obici e dei droni di una città spettrale che ha dimezzato la popolazione.Contrariamente a qualche mese fa, tuttavia, l’ipotesi di una cessazione delle ostilità non è più campata per aria ma una prospettiva in grado di materializzarsi se sussistono certe condizioni. Una di queste è senz’altro capire di quanti altri brandelli di territorio ucraino servono a Putin per salvare la faccia in un quadro economico interno che ormai manifesta crepe allarmanti.

Dopo avere sbocconcellato la Moldavia sottraendo la Transnistria, amputato la Georgia annettendo alla Federazione Russa, di fatto, l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale, tenuto in scacco per 30 anni l’Azerbaigian e l’Armenia soffiando sul fuoco del conflitto in Nagorno Karabakh la strategia del Cremlino impone anche a Kyiv di pagare il suo dazio di territorio. Unica fra le ex repubbliche sovietiche in Europa a non subire le minacce di Mosca è la Bielorussia ma per questa basta e avanza Aleksandr Lukashenko.

L’inverno incipiente, intanto, offre alla Russia l’occasione per provare ancora una volta la spallata decisiva, sia distruggendo le infrastrutture energetiche in tutta l’Ucraina, sia assassinando i civili come denunciato dalla commissione di esperti indipendenti delle Nazioni Unite nell’ultimo rapporto del 27 ottobre. Crimini di guerra e crimini contro l’umanità per i quali, si spera, qualcuno in Russia sarà chiamato a pagare. Se si arriverà ad una pace giusta e duratura.

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