venerdì 19 Dicembre 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

MANOVRA / Il governo cambia le norme per evitare il pasticcio sulle pensioni. Rispunta il condono edilizio

Il governo ha prima inserito e poi ritirato le nuove norme su riscatto della laurea e finestre di pensionamento, confermando una spaccatura nella maggioranza dopo il No della Lega. Il  tema delle pensionbi è da sempre al centro dell’attenzione. In commissione Bilancio è stata presentata dal governo la riformulazione del testo che interviene sul nodo delle finestre pensionistiche. Il testo sopprime la parte relativa al riscatto della laurea ma non sull’allungamento dell’età pensionabile. “Non siamo assolutamente contenti – dice il relatore della Lega alla Manovra, Claudio Borghi – e questo sarà oggetto del colloquio con il governo. E’ un passo nella giusta direzione aver tolto la parte sul riscatto della laurea ma c’è la questione delle finestre ed è opportuno non dare segnali che possono essere equivocabili. Chiederemo al governo una riformulazione differente”.

Per trovare risorse aggiuntive, si parla di 3,5 miliardi, il governo aveva messo sul tavolo un intervento sulle pensioni, proponendo di cambiare alcune regole di base, in particolare quelle sul riscatto degli anni di laurea e sul momento in cui si va in pensione. Il riscatto della laurea è il meccanismo che consente di versare contributi per gli anni di studio universitario, facendoli valere ai fini pensionistici.

La modifica sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1° gennaio 2031. In base alla proposta del governo, da quella data in poi non tutti gli anni di laurea riscattati avrebbero contribuito ad anticipare l’uscita dal lavoro. Una parte di quegli anni, inizialmente pari a sei mesi, non sarebbe stata conteggiata nel calcolo dei contributi necessari per andare in pensione. I contributi versati avrebbero continuato a incidere sull’importo dell’assegno finale, ma non avrebbero più aiutato a raggiungere prima il requisito degli anni di lavoro richiesti, oggi fissato a 42 anni e 10 mesi. Con il passare del tempo la penalizzazione sarebbe aumentata: la quota di anni riscattati esclusa dal conteggio sarebbe cresciuta gradualmente, fino ad arrivare a 30 mesi dal 2035. In pratica, sarebbe rimasta la possibilità di riscattare la laurea, ma quasi due anni e mezzo di contributi pagati non sarebbero serviti ad andare in pensione prima, rendendo di fatto poco utile gran parte del riscatto di una laurea triennale.

l punto più delicato della proposta del governo riguardava la retroattività. Per come era stato scritto il testo iniziale, la nuova regola non avrebbe colpito solo chi avesse deciso di riscattare la laurea in futuro, ma anche chi lo aveva già fatto negli anni passati, contando di andare in pensione prima dopo aver versato somme consistenti. La norma, infatti, non vietava il riscatto della laurea dal 2031, ma faceva riferimento ai «soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento dal 1° gennaio 2031». In termini concreti, si sarebbe quindi applicata soprattutto alle persone nate nei primi anni Settanta, che inizieranno a raggiungere i requisiti pensionistici nel prossimo decennio. Questo significa che la misura non avrebbe inciso su chi è vicino alla pensione oggi, ma su lavoratori che andranno in pensione tra almeno cinque o dieci anni.

Di fronte alle critiche, il governo ha poi fatto marcia indietro sul tema della retroattività, e Meloni ha chiarito che la norma, se fosse rimasta in piedi, non avrebbe riguardato i riscatti già effettuati.  La questione non è solo politica o di equità, ma anche giuridica: cambiare a posteriori le regole del riscatto avrebbe potuto esporre lo Stato a ricorsi da parte di chi aveva pagato migliaia di euro proprio per ridurre gli anni di lavoro prima della pensione.

La seconda misura riguardava le “finestre” di pensionamento, cioè il periodo che intercorre tra la fine dell’attività lavorativa e l’erogazione effettiva della pensione. In teoria queste finestre servono per ragioni tecniche, come verificare la correttezza dei contributi versati e calcolare l’importo dell’assegno. Nella pratica, però, rappresentano un risparmio per lo Stato, che posticipando il pagamento evita di versare alcune mensilità. Allo stesso tempo, questo periodo di attesa può creare difficoltà concrete, soprattutto per chi non ha risparmi sufficienti per affrontare mesi senza stipendio né pensione.

Nell’emendamento del governo era prevista una modifica che avrebbe allungato progressivamente queste finestre a partire dal 2031. Per chi avesse maturato i requisiti entro quella data, la finestra sarebbe rimasta di tre mesi, ma si sarebbe poi estesa anno dopo anno fino a raggiungere i sei mesi nel 2035. In questo caso il vantaggio per le casse pubbliche sarebbe stato evidente, ma a pagarne il prezzo sarebbero stati i nuovi pensionati, costretti ad arrangiarsi o a continuare a lavorare per mezzo anno dopo aver già maturato il diritto alla pensione. Se si considera che l’età pensionabile e gli anni di contributi richiesti sono destinati ad aumentare, l’effetto complessivo sarebbe stato quello di allontanare ulteriormente la pensione per i più giovani, sia perché si dovrà lavorare più a lungo, sia perché l’attesa tra lavoro e pensione diventerebbe più lunga.

Anche su questo punto – scrive Massimo Taddei su Pagella Politica – emerge una contraddizione già vista. Da un lato il governo rivendica di difendere i pensionati e il diritto ad andare in pensione, dall’altro propone interventi che rendono questo traguardo più difficile da raggiungere. Ridurre la spesa pensionistica non è di per sé una scelta sbagliata, visto il peso che questa voce ha sul bilancio pubblico, ma il problema è come lo si fa. Le misure ipotizzate in legge di Bilancio colpivano solo i futuri pensionati, senza intervenire sulle pensioni già in essere di importo molto superiore ai contributi versati, che continuano a rappresentare una parte rilevante della spesa dell’INPS. Alla fine, le proteste suscitate da queste proposte, anche all’interno della maggioranza, hanno spinto il governo a rinunciare a interventi sulle pensioni per quest’anno.  Non era e non è certamente nostra intenzione di aumentare i requisiti pensionistici“. Lo dice il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giorgetti, a margine dell’informativa urgente su Mps a chi gli chiede delle norme in manovra. Quando gli viene chiesto come risponde a chi osserva che il centrodestra doveva abolire la Fornero e invece state aumentando i mesi, il titolare dell’Economia replica: “Ma infatti non stiamo aumentando. Stia tranquillo, non aumenteranno”.

Nella Manovra resta in piedi la possibile riapertura del condono edilizio del 2003: tra le riformulazioni di emendamenti parlamentari compare infatti la riscrittura della proposta di modifica – inizialmente a prima firma Rastrelli (FdI) – sulla sanatoria edilizia.

La riformulazione prevede che siano sanabili tutte le tipologie di illecito previste (dalle opere realizzate in assenza o difformità di titolo abitativo alle opere di manutenzione straordinaria, compresi restauri) purché́ non si tratti di opere abusive di proprietà di persone condannate o sulle quali non siano possibili interventi antisismici o con vincoli legati alla gestione del territorio o realizzate su monumenti nazionali. E’ comunque affidata alle Regioni l’adozione di una legge di attuazione entro 2 mesi dall’entrata in vigore della manovra.

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