IL QUESITO
Il presidente del comitato, Luca Pugliese, lo definisce senza mezzi termini una “battaglia di civiltà” per portare l’Italia al passo con le democrazie europee più avanzate. Il focus è puntato sulla parificazione giuridica e sulla tutela dei minori, attraverso il riconoscimento di strumenti come la stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner) e l’adozione piena anche per le coppie omogenitoriali. La corsa alle firme è iniziata il 5 maggio e in una sola settimana ha già superato 250.000 sottoscrizioni. L’obiettivo minimo è fissato a 500.000 firme da raccogliere entro il 3 agosto.
Per firmare basta accedere alla piattaforma del Ministero della Giustizia con SPID o Carta d’Identità Elettronica. Oltre alla via digitale, sono attivi banchetti fisici in tutto il Paese. “Stiamo lavorando anche a QR code che permettano di firmare da smartphone”, ha dichiarato Pugliese a GenovaToday, segnalando il carattere innovativo di una campagna digitale che mira a coinvolgere ogni angolo della penisola.
La vittoria del Sì significherebbe una cosa molto chiara: l’espressione della volontà popolare sul rendere le unioni civili identiche ai matrimoni civili nei diritti e nei doveri. Questo include l’obbligo di fedeltà, la possibilità di adottare i figli del partner, la scelta del cognome condiviso e un iter di divorzio unificato.
Ma attenzione: non si tratterebbe di introdurre un vero e proprio matrimonio egualitario. Le coppie omosessuali non potrebbero ancora “sposarsi” nel senso pieno del termine. Continuerebbero a unirsi civilmente, anche se con effetti giuridici sovrapponibili a quelli matrimoniali. Un’uguaglianza funzionale, insomma, ma non simbolica o nominale. Il referendum per sua natura è abrogativo: può solo cancellare parti di legge, non introdurre nuovi diritti o creare istituti giuridici. Questo è il principale limite che ha spinto numerosi giuristi a suonare il campanello d’allarme.
L’avvocata Cathy La Torre ha dichiarato senza mezzi termini: “Non è un referendum per introdurre i matrimoni gay”. Secondo La Torre e la Rete Lenford, anche in caso di vittoria, non ci sarebbe alcun automatismo che garantisca l’adozione o la piena equiparazione. Tutto resterebbe nelle mani del Parlamento.
Un esempio lampante? Il Referendum sull’acqua pubblica: vinto con una maggioranza schiacciante, ma rimasto in larga parte inattuato. “Rammentate cosa è successo dopo? Nulla”, ha commentato La Torre, sottolineando il rischio di riporre troppe aspettative in un’azione popolare limitata dalla Costituzione.
Nella comunità LGBTQ+ si alternano entusiasmo, scetticismo e un forte desiderio di chiarezza. Per molti, il referendum rappresenta un atto politico importante, una spinta simbolica che potrebbe riaprire il dibattito parlamentare. Per altri, invece, rischia di trasformarsi in un boomerang.
C’è chi teme che il movimento venga strumentalizzato o illuso da una riforma incompleta. “Il rischio è far passare un messaggio sbagliato: che basti questo per ottenere il matrimonio egualitario. Ma non è così”. Le preoccupazioni sono alimentate dalla confusione diffusa sui social, dove la raccolta firme è stata rilanciata spesso con slogan fuorvianti.
Il referendum lanciato da Uguali! è senza dubbio un passo in avanti nel riconoscimento dei diritti civili, ma non può rappresentare la fine del percorso. Se da un lato potrebbe eliminare disuguaglianze giuridiche tra unioni civili e matrimoni, dall’altro non sostituisce una legge parlamentare in grado di introdurre il matrimonio egualitario vero e proprio. La campagna referendaria – sostengono molti osservatori – ha comunque il merito di riportare i diritti LGBTQ+ al centro del dibattito pubblico, dando voce a centinaia di migliaia di persone che chiedono di essere trattate con pari dignità. Il referendum sul matrimonio egualitario potrebbe essere, infatti, il grimaldello per scardinare l’immobilismo istituzionale. La raccolta firme si concluderà il prossimo 3 agosto.