Elon Musk spara a zero sul bilancio di previsione dell’Amministrazione Trump  approvato dalla Camera, liquidandolo come un “disgustoso abominio”. “Mi dispiace ma non riesco più a stare zitto. Vergogna per chi lo ha votato, sapete di aver fatto una cosa sbagliata, lo sapete”, ha aggiunto. La nuova legge, dice, “aumenterà enormemente il già gigantesco deficit di bilancio a 2,5 trilioni di dollari (!!!) e peserà cittadini americani con un debito schiacciante e insostenibile. Porterà l’America alla bancarotta, una vergogna”.  Per la Casa Bianca, però, “non cambia nulla nella posizione di Trump”, dice la portavoce Karoline Leavitt. Anzi, il presidente è convinto che Musk tornerà.

 Elon Musk ha concluso in maniera polemica la sua collaborazione con Trump , raccontando in una intervista televisiva  le ragioni che si nascondono dietro questa rottura netta e definitiva. Ne parla la giornalista Luna Luciano (Money.it). La notizia – scrive – circolava da settimane nei corridoi del potere e sulle colonne dei principali quotidiani americani, ora è ufficiale. L’imprenditore sudafricano, diventato simbolo di innovazione e al centro di numerose polemiche politiche, ha annunciato il suo addio tramite un post sul suo social network X, seguito da un’intervista chiarificatrice alla CBS. Le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni: il motivo della rottura è la legge di bilancio voluta da Trump, che secondo Musk mina gravemente l’efficienza governativa e aumenta pericolosamente il “disavanzo” federale.

Musk, che guidava il Dipartimento per l’efficienza della spesa pubblica (Doge), aveva ricevuto l’incarico dal presidente. Era stato uno dei principali sostenitori del tycoon durante la campagna elettorale, e la loro collaborazione sembrava destinata a diventare una delle più solide alleanze tra potere politico e imprenditoriale dell’era moderna. Tuttavia, dietro la facciata dell’intesa si celavano crepe profonde. Con il passare dei mesi, l’idillio si è trasformato in scontro. Le divergenze su temi economici, l’instabilità del mercato e i sospetti di conflitto di interessi hanno reso inevitabile la fine di questo esperimento politico senza precedenti.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è l’approvazione alla Camera del cosiddetto “Big Beautiful Bill Act”, la legge di bilancio fortemente voluta dal presidente. Si tratta di una riforma fiscale e di spesa pubblica che prevede, tra le misure più controverse, tagli massicci alle tasse per miliardari e grandi aziende, la cancellazione delle politiche ambientali dell’amministrazione Biden, e una riduzione drastica di fondi destinati a sanità e assistenza alimentare per le fasce più deboli della popolazione. Il disavanzo sarebbe esploso di altri 3.800 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.
Questo scenario è l’opposto di quanto Musk si era proposto di realizzare entrando nel governo: un taglio razionale e strategico degli sprechi pubblici. Il Doge, sotto la sua guida, aveva già chiuso agenzie federali, cancellato progetti internazionali e ridotto drasticamente il personale pubblico. Ma con la nuova legge, questi sforzi rischiano di diventare inutili. Restare – secondo Musk – avrebbe significato consentire una strategia economica che tradirebbe la sua linea.

LE DIVERGENZE SUGLI AFFARI

La rottura Musk-Trump non si spiega solo con divergenze ideologiche o tecniche, ma affonda le radici in una crisi più ampia: quella degli interessi economici di Musk, messi sempre più sotto pressione. Tesla, in particolare, ha subito un pesante calo dei profitti: un crollo del 71% nel primo trimestre del 2025 rispetto all’anno precedente. Un crollo che si può spiegare anche alla luce della posizione controversa di Musk, sempre più legato a posizioni di estrema destra.

Il coinvolgimento diretto di Musk nel governo ha sollevato domande su possibili conflitti d’interesse, viste le numerose collaborazioni e appalti federali ottenuti da SpaceX e Tesla. La guerra dei dazi avviata da Trump ha reso più costosi i veicoli elettrici, ostacolando la catena di approvvigionamento.Musk, che inizialmente aveva visto nell’alleanza con Trump una via per contrastare la “cultura Woke” dei democratici, si è trovato intrappolato in una contraddizione: da un lato l’amicizia politica, dall’altro gli effetti devastanti sul suo impero industriale. A questo si aggiungono tensioni interne e crescenti attriti con ministri e funzionari: l’addio ufficiale era solo questione di tempo.Massimo Jauss (The Voice of New York) scrive che “all’inizio era il sogno: un’inedita alleanza tra l’uomo più visionario del settore tecnologico e il politico più polarizzante della recente storia americana. Musk e Trump, insieme, promettevano la rivoluzione del “Make America Great Again” (MAGA). Doveva essere la fusione perfetta tra l’efficienza imprenditoriale e il decisionismo politico. Ma come spesso accade quando due persone con forti personalità si incontrano, la miscela è risultata instabile. E ora brucia”.

Le immagini sorridenti, le strette di mano, le chiavi della Casa Bianca, gli annunci congiunti dallo Studio Ovale non sono bastati a coprire le profonde crepe di un rapporto costruito più sul calcolo che sulla visione comune. La tensione tra i due è ormai manifesta: tra accuse, vendette, sabotaggi e contraddizioni che stanno minando non solo la loro alleanza personale, ma l’intero impianto di governo a cui avevano legato il proprio destino.

Simbolo di questo fallimento è il Department of Government Efficiency (DOGE). Aveva il compito di scovare l’inefficienza, tagliare il bilancio federale, eliminando programmi considerati superflui o mal funzionanti. Rendere più agili e “aziendali” i processi decisionali del governo federale, ottimizzando i costi, trasferendo la gestione di alcuni servizi statali ad aziende private. Sostituire ruoli amministrativi con sistemi automatizzati e intelligenza artificiale, per migliorare l’efficienza e ridurre il personale. Tutto nel nome della trasparenza, con pubblicazione online delle spese, accesso ai dati in tempo reale e presunta “open governance”. Il DOGE si sarebbe dovuto inserire in ogni agenzia federale come “sentinella del risparmio”, con poteri quasi commissariali. I risultati, invece, sono stati ben altro: i tagli sono stati indiscriminati colpendo agenzie vitali, senza analisi d’impatto. Si è assistito ai licenziamenti di massa che hanno paralizzato l’apparato federale. Le promesse di trasparenza si sono dissolte in una gestione opaca e centralizzata, con decisioni prese da Musk e pochi collaboratori senza consultazioni pubbliche o parlamentari. L’automazione promessa si è arenata in problemi pratici e rifiuto dei sindacati.

Si sono verificati conflitti d’interesse legati alla vicinanza tra il DOGE e alcune aziende legate a Musk. Così quello che avrebbe dovuto essere un laboratorio di innovazione è diventato un apparato paralizzante. I licenziamenti di massa, il blocco dei fondi per gli aiuti esteri, la cancellazione di interi programmi sociali: più che l’efficienza, hanno prodotto il caos. E tutto questo mentre il presidente stesso portava al Congresso un suo “bellissimo” disegno di legge sulla spesa. La mano destra non sapeva (o non voleva sapere) cosa facesse la sinistra.

Musk sulla CBS ha parlato di “capro espiatorio”. Ha detto di essere stato usato, lasciato solo, di non aver mai condiviso la visione dell’Amministrazione pur essendone il volto più visibile. Ha perfino definito “deludente” il bilancio approvato dalla Camera, destinato – a suo dire – a vanificare ogni sforzo fatto con il DOGE. È difficile dargli torto sul piano logico. Ma è difficile anche non notare la sua ingenuità politica: pensare di poter guidare il cuore del governo federale come se fosse una startup è stata una scommessa perdente.

LE CONTROMOSSE DELLA CASA BIANCA

Lo speaker della Camera Mike Johnson ha provato a minimizzare con toni concilianti, ma altri fedelissimi di Trump – da Peter Navarro a Boris Epshteyn – hanno colpito Musk nel punto più vulnerabile: la sua reputazione. La bocciatura del suo alleato Jared Isaacman alla guida della NASA è apparsa come un’umiliazione studiata. La pubblicazione di articoli sul presunto uso di droghe da parte di Musk, altrettanto strategica.

Tutto questo, nonostante Musk avesse contribuito alla campagna elettorale di Trump con 250 milioni di dollari. Un investimento personale e politico che oggi appare come uno dei peggiori affari del visionario di Tesla e SpaceX. Non solo non ha garantito influenza stabile, ma è stato restituito con una serie di umiliazioni pubbliche e veleni privati. Anche i grandi donatori, oggi, si accorgono che nell’universo trumpiano non esistono alleanze, ma solo fedeltà da dimostrare quotidianamente.

Il DOGE, nel frattempo, è diventato il simbolo della confusione: un ente nato per tagliare sprechi, ma del quale nessuno si è preso le responsabilità delle decisioni, si è trasformato in un boomerang politico e mediatico, incapace di incidere realmente. I boicottaggi contro Tesla, le proteste sindacali, i malumori degli investitori hanno costretto Musk a un forzato distacco: in una recente conference call con gli azionisti ha promesso che si sarebbe dedicato di più alla sua azienda e meno alla politica.

Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump, ha addirittura previsto che il presidente potrebbe prendere di mira la ricchezza di Musk, esaminando i sussidi governativi che hanno contribuito al successo delle sue aziende, come il credito d’imposta di 7 mila dollari per i veicoli Tesla. Cohen ha suggerito che Trump potrebbe utilizzare il DOGE per indagare e potenzialmente recuperare questi sussidi sotto la copertura di eliminare sprechi e frodi governative.

L’addio di Musk è stato il tramonto dell’illusione che la tecnologia potesse salvare la politica, che la genialità imprenditoriale potesse sostituirsi al compromesso e alla mediazione.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui