L’8 e il 9 giugno si torna alle urne per i cinque referendum. Si vota, tra gli altri, per il referendum sulla cittadinanza, che riguarda alcuni aspetti che regolano la richiesta per poter diventare cittadino italiano. La normativa in materia è oggi ferma allo ius sanguinis (ovvero l’acquisizione della cittadinanza per discendenza). Si dovrà decidere se dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza per richiedere la concessione della cittadinanza italiana da parte di uno straniero maggiorenne proveniente da un Paese extra Ue, allargando in modo automatico questo diritto anche ai figli minorenni.
Il quesito del “referendum cittadinanza” propone la modifica dell’articolo 9 della legge numero 91 del 1992, dimezzando il periodo di residenza legale e ininterrotta in Italia, necessario per fare domanda di cittadinanza per naturalizzazione. A oggi lo Stato, dopo la presentazione della richiesta, ha poi tempo tre anni per la valutazione della richiesta, un tempo di attesa che allunga il riconoscimento a più di dieci anni.
Chi non ha la cittadinanza non può esercitare il diritto di voto, accedere ai concorsi pubblici, o partecipare anche a esperienze formative come l’Erasmus. “Se venisse approvata l’abrogazione, la materia riguarderebbe da subito circa due milioni e mezzo di persone che sono già oggi in Italia, tracciabili perché residenti regolari e contribuenti nel nostro Paese – spiega a Simona Buscaglia, giornalista di Wired la segretaria di Possibile Francesca Druetti, che sottolinea come questo aspetto sia anche un modo – per sfatare la propaganda di chi dice che approvando il quesito si darebbe un via libero incontrollato agli immigrati irregolari. Nessuno vuole ‘regalare la cittadinanza’, come abbiamo sentito dire da alcuni politici di Destra. Basta ripercorrere il quesito per capirlo, visto che i requisiti per ottenerla rimangono gli stessi che ci sono al momento. Si accorciano solo i tempi per chi sta già pagando le tasse e lavora in Italia regolarmente. Interveniamo su quel limbo che li costringe invece a non avere i diritti che dovrebbero avere”.
Chi presenta domanda di cittadinanza, anche se il requisito fosse ridotto di cinque anni, dovrà soddisfare i tre requisiti già previsti dalla legge, ovvero: la conoscenza della lingua italiana, il reddito adeguato e documentato negli ultimi anni e l’assenza di motivi ostativi legati alla sicurezza della Repubblica.
Secondo i promotori del “Sì” questo potrebbe essere un modo per promuovere una maggiore integrazione: “Se continuiamo a crescere generazioni di persone che non possono sentirsi davvero italiani, nonostante siano nati qui o abbiano fatto tutte le scuole in Italia, diventa difficile che abbiano poi interesse per il bene del Paese, sentendosi sempre rifiutati – conclude Druetti – È poi anche una questione di futuro della nostra società: in un momento di declino demografico inarrestabile e di scarsa partecipazione all’affluenza elettorale, costringiamo milioni di persone in una zona grigia”.