martedì 16 Settembre 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

ROBERT REDFORD / Addio all’eterno golden boy dell’America dei diritti civili

Addio a Robert Redford, icona del cinema americano. Se n’è andato nella notte, nella sua casa tra le montagne dello Utah. Aveva  89 anni. A darne notizia è stata la sua portavoce Cindi Berger: «È morto nel sonno», ha spiegato senza aggiungere altri dettagli. Con lui scompare non solo uno degli attori più iconici del cinema americano, ma anche il regista e il produttore che ha dato vita al Sundance Festival e all’idea stessa di cinema indipendente.

Biondo, sorriso largo, fascino da eterno «golden boy», Redford è stato per decenni il volto di un’America capace di guardarsi allo specchio, anche nelle sue contraddizioni. Dai fuorilegge malinconici di Butch Cassidy (1969) al giornalismo implacabile di Tutti gli uomini del presidente (1976), fino al critico ritratto della C.I.A. in I tre giorni del Condor (1975), le sue interpretazioni non erano solo intrattenimento: diventavano chiavi di lettura del presente. In La stangata (1973), in coppia con l’amico e sodale Paul Newman, arrivò alla sua unica candidatura all’Oscar come attore.

Hollywood lo consacrò come sex symbol, ma Redford non fu mai un semplice divo da poster. La sua carriera di protagonista romantico fu illuminata dalle partner che lo affiancarono: Jane Fonda in A piedi nudi nel parco (1967), Barbra Streisand in Come eravamo (1973) nella foto a destra;
Meryl Streep in La mia Africa (1985). Non a caso, la critica Pauline Kael scrisse che non era mai stato «così glamour come visto attraverso gli occhi innamorati di Barbra Streisand».
A quarant’anni, decise di mettersi dietro la macchina da presa. Il suo esordio, Gente comune (1980), vinse l’Oscar per la miglior regia e per il miglior film, raccontando con delicatezza la disgregazione di una famiglia borghese dopo un lutto. Seguirono opere meno immediate ma sempre personali, come In mezzo scorre il fiume (1992), con Brad Pitt, e Quiz Show (1994), che gli valse una nuova nomination all’Oscar.

NELLE FOTO: sopra, A piedi nudi nel parco (con Jane Fonda), poi, Tutti gli uiomini del presidente (con Dustin Hoffman); sotto, a sinistra, I tre giorni del Condor (con Faye Dunaway) a destra, La mia Africa (con Meryl Streep); sotto, a sinistra, Proposta indecente (con Demy Moore); a destra, La stangata (con Paul Newman).

Preferiva il suo ranch nello Utah ai party di Los Angeles. E mentre Hollywood lo inseguiva, lui combatteva battaglie ambientali: negli anni ’70 si oppose alla costruzione di autostrade e centrali a carbone, pagando anche con contestazioni violente. Per tre decenni fu membro del Natural Resources Defense Council e nel tempo divenne un punto di riferimento per attori-ambientalisti come Leonardo DiCaprio e Mark Ruffalo. «Non sono un attivista, è un’etichetta che non mi piace», diceva. Eppure lo era eccome.

Non mancarono i momenti difficili: critiche feroci per la sua interpretazione in Il grande Gatsby (1974), fallimenti finanziari come il collasso della catena di sale Sundance Redford lascia la moglie Sibylle Szaggars, le figlie Shauna e Amy, e sette nipoti.

FONTI: agenzie internazionali, Vanity fair, Sundance festival, la bastigliaweb.it

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