NEW YORK – Lo shutdown, ovvero il blocco dei fondi federali, tocca la soglia dei trenta giorni e si prepara a battere qualsiasi record. Milioni di americani a basso reddito si trovano a un passo dalla fame: il programma di assistenza alimentare SNAP, che sostiene oltre 42 milioni di persone, rischia di essere sospeso a pèartire da domani, primo novembre. Il Dipartimento dell’Agricoltura ha avvertito che i fondi di emergenza “non sono legalmente disponibili per coprire i sussidi ordinari”, e la Casa Bianca non intende utilizzare le riserve esistenti.
È la prima volta nella storia moderna che il programma viene fermato per uno stallo politico.E c’è chi avanza l’ipotesi che il blocco degli aiuti federali, nato come un braccio di ferro sul bilancio, sarebbe un esperimento di potere con un governo di estrema Destra che seleziona chi aiutare e chi lasciar soffrire, con Congresso umiliato e un partito al governo che comincia a dividersi. E mentre i supermercati si svuotano e le mense si riempioo anche di lavoratori e dipendenti senza stipendio, l’America scopre che la fame può essere anche un’arma politica.
Tra le conseguenze dello shutdown delle attività del governo Usa ci sono problemi che riguardano anche il settore tecnologico. La commissione federale per le comunicazioni, ha infatti bloccato l’uscita sui mercati statunitensi di alcuni dispositivi tech usciti invece in altri continenti. Ma le conseguenze più disastrose sarebbero per i voli.
Il blocco dei fondi federali minaccia milioni di viaggiatori e l’industria del trasporto aereo entra in modalità allarme. La prospettiva è spaventosa: se lo stallo del bilancio federale negli Stati Uniti dovesse protrarsi fino alla fine di novembre, il settore del trasporto aereo rischia di trovarsi in piena emergenza. A lanciare l’allarme sono stati il vicepresidente Vance e il segretario ai Trasporti Sean Duffy, durante un incontro alla Casa Bianca con le principali compagnie aeree e sindacati. La situazione riguarda in particolare il personale della Federal Aviation Administration (FAA) e della Transportation Security Administration (TSA) che sono chiamati a lavorare senza ricevere stipendio da settimane.
Lo shutdown governativo degli Stati Uniti è in corso da lunedì 1 ottobre 2025 e rappresenta una delle più lunghe interruzioni del funzionamento federale. Vance ha dichiarato che “potrebbe essere un disastro. Davvero potrebbe esserlo, perché a quel punto stiamo parlando di persone che non avranno ricevuto tre stipendi”.
La decisione ha provocato una valanga di reazioni, con venticinque Stati e il Distretto di Columbia che hanno citato in giudizio l’amministrazione Trump, chiedendo un’ingiunzione urgente per evitare il disastro sociale. (Lo shutdown è la sospensione della fornitura di servizi pubblici considerati non essenziali con i dipendenti in congedo o al lòavoro ma senza retribuzione).
Nelle aule di tribunale i legali federali hanno sostenuto che trasferire fondi da altri programmi violerebbe l’Antideficiency Act, ma la giudice distrettuale Indira Talwani ha replicato che “mi è difficile capire come questa non possa essere considerata un’emergenza, quando milioni di persone rischiano di non mangiare”. La sentenza è attesa entro poche ore. Nel frattempo, le banche alimentari del Paese sono al collasso. A Washington la domanda è raddoppiata, in Texas si attinge a riserve di emergenza e in Virginia la Guardia Nazionale è stata mobilitata per distribuire generi di prima necessità. “È una tempesta perfetta che porterà le organizzazioni di beneficenza al collasso”, ha detto Miette Michie della Emergency Food Network.
La situazione ha spinto alcuni Stati, come la California, la Virginia e il Minnesota, a intervenire direttamente con fondi propri. Il governatore Glenn Youngkin ha stanziato 37 milioni di dollari a settimana per sostenere i beneficiari dello SNAP, ma non tutti gli Stati possono permettersi misure simili. “I danni si stanno accumulando”, ha ammesso il senatore repubblicano Lindsey Graham. “Penso che la prossima settimana avremo una svolta.” Ma per ora il Congresso resta paralizzato, e non solo sul programma di assistenza alimentare. I democratici chiedono di estendere i crediti d’imposta dell’Obamacare, mentre i repubblicani si rifiutano di negoziare finché il governo non sarà riaperto.
Mentre il Paese scivola in una crisi sociale senza precedenti, lo speaker della Camera, Mike Johnson, continua la sua silenziosa latitanza politica. Non convoca la Camera da oltre un mese, non ha proposto un piano per la riapertura del governo e, secondo indiscrezioni di Capitol Hill, si limita a comunicare con i suoi alleati tramite note interne e messaggi sui social. Le sue apparizioni pubbliche si sono ridotte a slogan religiosi e appelli alla “pazienza patriottica”, mentre i suoi stessi colleghi repubblicani lo accusano di essersi “fatto spettatore di una catastrofe nazionale”.
Alla paralisi legislativa si aggiunge un episodio che sintetizza la deriva dell’istituzione: la deputata eletta dell’Arizona, Adelita Grijalva, non è ancora stata formalmente insediata, nonostante la sua vittoria sia stata certificata da settimane. Johnson si rifiuta di farle prestare giuramento, bloccando così il voto che potrebbe costringere il Dipartimento della Giustizia a consegnare al Congresso i file secretati sul caso Epstein. Un gesto che ha indignato anche alcuni membri del GOP, secondo i quali lo speaker starebbe piegando le regole parlamentari per proteggere la Casa Bianca da un imbarazzante scontro istituzionale.
In un momento in cui milioni di famiglie attendono lo stipendio o il buono pasto, la sua assenza, e la sua ostinazione, pesano come un vuoto di comando che amplifica la sensazione di un Congresso sospeso, ostaggio delle proprie paure e dei segreti che non vuole affrontare.
Lo stallo ha effetti a catena: i controllori di volo non vengono pagati, i voli accumulano ritardi, alcuni aeroporti, come quello di Newark, operano a singhiozzo. Si calcola che oltre seimila voli siano stati annullati. Gli uffici pubblici sono chiusi e milioni di famiglie aspettano invano gli aiuti alimentari. Con l’avvicinarsi del Giorno del Ringraziamento, l’immagine di un Paese in cui i dipendenti federali sono costretti a mettersi in fila alle banche alimentari comincia a incrinare persino le coscienze più allineate, trasformando la crisi in un dramma morale prima ancora che politico. E molti repubblicani cominciano a chiedersi come sia possibile, con la Casa Bianca, la maggioranza al Senato e la maggioranza alla Camera, che una cosa simile sia potuta accadere.
La tensione cresce anche all’interno del partito repubblicano. Ieri sera, il Senato ha votato con 51 voti a 47 per revocare lo stato di emergenza nazionale che giustificava i dazi globali imposti da Trump ad aprile. Un voto simbolico ma eloquente, sostenuto da quattro repubblicani, Susan Collins, Lisa Murkowski, Rand Paul e Mitch McConnell, che hanno scelto di sfidare apertamente la Casa Bianca. È la terza volta in una settimana che il Senato si ribella alla politica commerciale del presidente. “I dazi rendono più costoso sia costruire che acquistare in America”, ha dichiarato McConnell. “I danni economici delle guerre commerciali non sono l’eccezione, ma la regola.”
Per Trump, di ritorno dal suo viaggio in Asia, è un colpo politico. Il voto sul commercio mette in luce un malumore crescente tra i repubblicani, divisi tra lealtà al presidente e timori per le ripercussioni economiche delle sue scelte. I democratici osservano in silenzio, convinti che la pressione sociale finirà per incrinare il fronte del GOP. “Trump è lontano, non negozia, e intanto milioni di americani stanno per restare senza cibo”, ha commentato il senatore Chris Murphy.
FONTI: Massimo Jauss (The Voice of New York), agenzie internazionali, Congresso Usa, GOP
