FdI dopo quasi tre anni di potere è cresciuto dal 26 al 29,7%. Il Pd sembra felice di essere al 22,3. Mah. Di solito in periodi duri come questo chi governa soffre e chi si oppone cresce. Quello che manca alla segreteria di Elly Schlein è la capacità di metterci una faccia chiara su cosa serva al Paese e su come governerà. Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, al netto di come lo si giudichi, ha fatto promesse elettorali e sta provando a mantenerle, costi quel che costi. E per questo si dice sicuro di essere rieletto.
di Giampiero Moscato *
Di solito chi governa, se il meteo non volge al bello, dopo quasi tre anni di potere soffre un calo di consensi. Non è così per Giorgia Meloni. Si insediò a Palazzo Chigi il 22 ottobre 2022, dunque quasi tre anni fa, con il migliore risultato di sempre di Fratelli d’Italia. Il suo partito fu il più votato sia alla Camera sia al Senato, con il 26% dei consensi. In questi giorni, che il mondo vive con angoscia e che il Paese non sta passando al meglio di sé, FdI non solo resta in vetta ai consensi nazionali ma si attesta al 29,7%. Sfiora il 30, dunque. Eppure il clima nazionale non è di quelli che mettono allegria, e mi fermo qui. Evidentemente lei buca il video. Alcune mosse, di sostanza e di propaganda, a quanto pare hanno raggiunto buona parte dei bersagli mirati.
Che fa il Pd, ovvero il primo partito dell’opposizione? Prima di scrivere il dato dei sondaggi usciti qualche giorno fa, vorrei ricordare che con Matteo Renzi i dem superarono il 40 per cento dei consensi alle Europee del 25 maggio 2014. Fu il record nella storia del partito e dei suoi antenati. So bene che, sempre con Renzi, il Pd crollò al 18%. Il mio non è un rimpianto di quella segreteria. E ho qualche dubbio sul Pd, in generale. Però noto che, memori di quella debacle, in tanti (troppi, a mio avviso) si dichiarano molto contenti del fatto che, qualche giorno fa, il Pd a traino Elly Schlein abbia guadagnato uno 0.2%, salendo al 22.3% nei sondaggi. Addirittura…
Pensando che i 5 Stelle , che qualche anno fa sfondavano, sono stabili al 12%, e che le altre forze del cosiddetto centro-sinistra (su quel trattino più o meno esistente dovremmo interrogarci), significa che l’opposizione al Governo Meloni-Salvini-Tajani non sta facendo molto bene. Non sta facendo un baffo alla presidente del Consiglio. E lo scrivo alludendo a “Baffino”, ovvero a Massimo D’Alema, il pezzo forte degli antenati del Pd che, recentemente – seppure senza alcuna enfasi – ha dato un giudizio positivo sulla segreteria di Elly Schlein. Il fatto che non l’abbia bocciata, data la nota verve polemica dell’ex presidente del Consiglio, ha in sé nel suo gergo qualcosa di estremamente bonario. Nel linguaggio dalemiano ha il sapore di una consacrazione. Quasi, non esageriamo.
Bene, dico la mia. Il 22,3%, dopo quasi tre anni di governo FdI-Lega-Fi, non è un risultato di cui vantarsi. Certo, dopo la fuga al centro, destra e sinistra per chi ancora va a votare e con il crescente rifiuto delle urne da parte di un’enorme fascia di popolazione, qualche segnale di ripresa la nuova segreteria lo ha incamerato. Sarebbe ingeneroso negarlo. Ma ha anche incassato un risultato brutto ai referendum (il voto sulla cittadinanza è stato quasi fallimentare) e le prospettive sono pessime. Per un’ipotesi di ritorno al governo sarebbe necessario un campo largo che non esiste in natura, viste le differenze di visione politica di quelli che dovrebbero fare l’alleanza. E comunque questo campo avrebbe difficoltà numeriche, anche nella più fantascientifica ipotesi di accordo elettorale.
Per precisare il mio pensiero, credo che al Pd in questa fase manchi una leadership chiara, esplicita, coerente. Sono evidenti le difficoltà di guida di un partito dalle troppe anime, fuse a freddo e dunque destinate a scollarsi a ogni mutamento di clima. Quello che manca, a livello nazionale, è la capacità di metterci la faccia. Di indicare una rotta (su lavoro, diritti, cittadinanza, Europa, riarmo o meno, guerra o pace, ambiente, mondo) e di inseguirla con tenacia. Secondo me Elly Schlein questa faccia non ha ancora deciso non solo di mettercela, ma nemmeno di farla decifrare.
Il sapore da “dico-non dico” della sua segreteria mi è salito forte l’altra sera, alla Festa dell’Unità di via Due Madonne, ascoltando Matteo Lepore intervistato da Rosalba Carbutti, giornalista del “Resto del Carlino”. Il sindaco lo ha detto chiaro e tondo quello per cui è stato votato (il tram, i 30 all’ora, il Passante, le infrastrutture, gli impianti sportivi, insomma quei cantieri che gli stanno costando critiche ferocissime da buona parte della città), rivendicando il dovere di metterci la faccia e di andare avanti.
Perché su quello è stato votato. Perché la città ha bisogno di quei lavori. Perché bisognava dare un taglio al sistema per cui il sindaco successivo smantellava quello che aveva progettato il sindaco precedente. Perché è un dovere dare un futuro ai bolognesi che l’immobilismo non garantirebbe, anche se per lui sarebbe stato più facile. Ha detto che è convinto che al voto la gente gli riconoscerà che ha fatto bene. E che per questo si è detto pronto a ricandidarsi a Palazzo d’Accursio. E che è sicuro che sarà rieletto. Bene. Al netto di quello che si pensa di Lepore e del suo mandato, credo che il suo sia il piglio giusto per portare a casa i risultati ventilati prima del voto. E per mantenere le promesse durante il governo. È un piglio che servirebbe anche al Pd.
* direttore CantiereBologna