Domani, sabato 28 giugno, a Budapest si celebra il Pride, l’evento – si dice – che potrebbe far cadere Viktor Orban. Il clima politico in Ungheria si è surriscaldato già alla vigilia della manifestazione che prevede l’arrivo di settanta europarlamentari con il governo che avverte e minaccia: “Il Gay Pride è vietato, ci saranno delle conseguenze legali”.
A Budapest sono attese circa 35mila persone. Dopo il botta e riposta di mercoledì tra Ursula von der Leyen, che chiedeva alle autorità ungheresi di consentire lo svolgimento della manifestazione, e il presidente Orban che l’ha caldamente invitata a “non interferire sull’applicazione della legge negli Stati membri dell’Unione Europea”, governo e partecipanti continuano ad avanzare ognuno, per la propria strada. Al Pride ungherese prenderanno parte anche la segretaria del Pd, Elly schlein, e Carlo Calenda, leader di Azione.
Lo scontro che si annuncia dopani è politico, legale e sociale. Agita la vigilia della grande manifestazione a sostegno dei diritti della comunità LGBTQIA+, arrivata quest’anno alla 30esima edizione. Uno scontro già cominciato a parole, tra il sindaco progressista di Budapest, Gergely Karácsony, e il partito di governo Fidesz, dominato dal primo ministro Viktor Orbán, in carica dal 2010 e ormai simbolo della destra nazionalista e populista, da molti considerato un aspirante despota che calpesta con disinvoltura diritti civili e gli stessi valori sui quali l’Unione Europea è stata fondata: rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Ed è proprio questo il punto nodale per il partito alla guida del governo ungherese: impedire che la sfilata colorata e pacifica per sostenere i diritti della comunità LGBTQIA+ abbia luogo
Sono circa 70 intanto, gli eurodeputati che hanno annunciato la loro partecipazione all’evento mentre dal canto suo, il governo ungherese, ribadisce che il Pride è vietato e che anche gli stranieri presenti saranno considerati ‘fuori legge’. Sul fronte opposto invece, il sindaco progressista di Budapest, Gergely Karácsony, si è schierato dalla parte degli organizzatori.
A fine maggio diciassette Paesi membri dell’Unione europea, tra cui Francia e Germania, hanno lanciato un appello dichiarandosi “profondamente preoccupati” per l’emendamento alla Costituzione e i nuovi sviluppi legislativi in Ungheria contro la comunità Lgbtqi+. La modifica costituzionale darebbe il via libera all’utilizzo del riconoscimento facciale per punire chi partecipa alla manifestazione.
A questa, si aggiunge anche il progetto di legge presentato di recente dal governo ungherese, che restringe lo spazio per le voci critiche. La norma consentirebbe alle autorità di registrare in un’apposita lista le organizzazioni non governative e i media finanziati dall’estero, se considerate una minaccia alla sovranità nazionale.
Stando a quanto riportato dal sito politico.eu, questa mattina diverse ambasciate avrebbero ricevuto una lettera dal ministro della Giustizia Bence Tuzson, in cui si ribadisce che “la situazione legale è chiara: la parata dell’Orgoglio è un’assemblea legalmente vietata, che organizza o annuncia che si qualifica come reato punibile con la reclusione fino a un anno secondo la legge ungherese. Coloro che prendono parte a un evento proibito dalle autorità commettono un’infrazione”. Durante una conferenza stampa svoltasi ieri comunque, Orban ha precisato che pur essendo vietata, alla manifestazione non è previsto l’uso della forza: “L’Ungheria è un paese civile. Non ci facciamo del male a vicenda”, ha detto.
Parole ‘più morbide’ rispetto a quelle a cui ci ha abituato il primo ministro, forse perché lui stesso ha capito che sul Pride potrebbe infrangersi la sua ambizione politica. Come riporta Repubblica, infatti, il sito investigativo VSquare, ha scoperto che i proventi della privatizzazione dell’industria militare annunciata da Orban due settimane fa (senza gare di appalto), finiranno direttamente nelle tasche di persone a lui vicine, piuttosto che nella casse dello Stato. Un tempismo molto pericoloso per la sua carriera del primo ministro, proprio nel momento in cui in tutta Europa, a seguito del vertice Nato, sono aumentate le spese per la difesa. Un’occasione ghiotta, invece, per Peter Magyar, dell’opposizione, che sta crescendo nei sondaggi e che rischia di vincere alle prossime elezioni.