mercoledì 17 Dicembre 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

VUOLE ANCHE LA STAMPA

Sono tre le cordate interessate all’acquisto de La Stampa di Torino, messa in vendita dalla Gedi di John Elkann, assieme a Repubblica e a ciò che resta del Gruppo che fu di Caracciolo e Scalfari. E una delle tre cordate, a grande sorpresa, è guidata da Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero di Roma e uomo chiave delle scalate bancarie sostenute – secondo un’inchiesta giudiziaria- dal governo Meloni.

Le tre cordate sono state elencate davanti a una platea attonita, durante l’assemblea del 15 dicembre della redazione della Stampa,  dal presidente della Regione Piemonte Cirio, che è anche vicesegretario di Forza Italia. Secondo le parole di Cirio- ci sono innanzitutto i veneti della Nem di Enrico Marchi a cui Elkann ha già venduto alcune testate del Nord est, finora considerati in posizione dominante nella trattativa, soprattutto dopo che l’imprenditore greco Kyriakou si sarebbe dichiarato interessato a la Repubblica e alle tre radio del Gruppo, ma non alla Stampa.

Al secondo posto -secondo Cirio- c’è una cordata di imprenditori piemontesi, capitanati dal costruttore Matterino Dogliani, leader di un universo industriale che va dalle Langhe fino alle grandi opere del paese, passando per concessioni autostradali, viadotti, cantieri ospedalieri. I Dogliani sono radicati a Narzole, piccolo centro del cuneese, ma con una proiezione nazionale e internazionale. Buoni rapporti con Salvini (c’è una loro possibile partecipazione ai lavori del Ponte sullo Stretto). Al fianco di papà Matterino c’è Claudio, il figlio, amministratore delegato del gruppo, giovane, ambizioso, si muove con un jet privato. Il cuore del loro impero è Fininc, la holding di famiglia divisa in quattro macrosettori, dalle infrastrutture alle concessioni, dall’ingegneria alla finanza e alla produzione di vini.

Al terzo posto Gaetano Caltagirone, indagato a Milano con il presidente di Luxottica e della holding lussemburghese Delfin, Francesco Milleri, e l’amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio, per le ipotesi di reato di “aggiotaggio” e “ostacolo alle Autorità di vigilanza”. Secondo gli investigatori, avrebbero concordato l’Offerta pubblica di scambio da 13,5 miliardi di euro che ha permesso a Mps, all’epoca partecipata in maggioranza dallo Stato, di prendere il controllo di Mediobanca tra gennaio e ottobre 2025.

Il governatore ha detto di essere in stretto contatto con il sottosegretario all’editoria Alberto Barachini, il quale gli avrebbe raccontato di queste tre manifestazioni di interesse per l’acquisizione del giornale. La Stampa resta un’azienda pesante, tipografia fuori mercato, oltre 170 giornalisti, perdite annuali stimate intorno ai 12 milioni, per la quale Elkann ha chiesto una cifra un po’ alta, tra i 50 e i 60 milioni. In questi giorni la linea del quotidiano torinese è molto cauta, mantiene grande attenzione nei confronti di Elkann senza affondare il colpo: difendere l’orgoglio di testata, ma non attaccando l’editore che lascia la nave.

Il Comitato di redazione ha scritto: “Sabato scorso John Elkann ha respinto l’offerta di acquisto della Juventus con un video messaggio e la precisazione che ‘la squadra, la nostra storia e i nostri valori non sono in vendita’. Vale per il calcio, ma non per il nostro giornale e i suoi oltre 150 anni di storia. Storia che si può serenamente svendere, senza nemmeno curarsi di capire a chi. Lo scorso 30 novembre, dopo l’assalto alla nostra redazione, anche John Elkann ha portato la sua solidarietà. Si è rivolto ai colleghi e alle colleghe parlando alla prima persona plurale, con l’inteso che proprietà, direzione e redazione fossero un tutt’uno. Menzogne. Nemmeno quindici giorni dopo è arrivata la dichiarazione ufficiale di Exor e la conferma della volontà di uscire dal settore dell’editoria. Gedi ceduta a un investitore greco, La Stampa chissà. Alla delusione si aggiungono amarezza, sconcerto e preoccupazione per i destini di lavoratori e lavoratrici. Non solo giornaliste e giornalisti, ma personale poligrafico e tecnico, amministrativo e collaboratori tutti. Posti di lavoro e vite di cui temiamo il governo non abbia troppa intenzione di farsi carico, almeno a giudicare dal palco di Atreju di ieri. La vendita del gruppo Gedi è stata menzionata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni giusto il tempo di polemizzare con i suoi avversari politici, senza dare rassicurazioni sulle sorti di 1300 lavoratori e lavoratrici”.

FONTI: Professionereporter.eu, cdr La Stampa

Articolo precedente
Articolo successivo

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

CATEGORIE ARTICOLI

Articoli recenti