Neutralizzare i piani nucleari, ma anche un cambio di regime. La guerra che Israele sta conducendo contro l’Iran degli ayatollahh avrebbe anche l’obiettivo di un cambio di regime, ossia il rovesciamento della feroce teocrazia sciita che affligge uno dei Paesi più importanti, e non solo per le risorse energetiche, di tutto il Medio Oriente. Netanyahu ha più volte affermato di muovere guerra contro la Repubblica Islamica e non contro l’Iran. Una distinzione non da poco tra chi esercita il potere e chi è costretto a subirlo.
La dimostrazione sul campo di queste analisi arriva dal fatto che l’esercito israeliano ha selezionato e abbattuto con precisione quasi chirurgica i bersagli militari e del regime, ultimo oggi il capo dell’intelligence dei pasdaran. Nelle prime fasi dell’offensiva le forze armate di Tel Aviv sembrano aver colpito in prevalenza installazioni militari, capi dell’esercito e personaggi di primo piano del regime, non escluso neanche la guida suprema Kamenei. Perfino nei commenti di osservatori americani molto progressisti e anti-Netanyahu affiora la speranza di una cacciata di Khamenei dopo quella del siriano Assad, il quale, occorre ricordare, era stato a lungo protetto proprio dagli ayatollah.
Un elemento decisivo per generare questa fiducia – scrivono molti giornali americani – è l’ennesimo successo del Mossad. Dietro la precisione dei colpi messi a segno da jet e missili israeliani, c’è questa realtà: i servizi segreti hanno continuato ad avere una rete di infiltrati e collaboratori dentro il regime di Teheran. Questo accade non solo perché il Mossad sa fare molto bene il suo mestiere, ma anche perché nella società iraniana è cresciuta la rabbia, l’esasperazione, il rigetto verso un regime dispotico, sanguinario, corrotto e incompetente. Israele ha «gioco facile» a reclutare spie a Teheran perché in molti, anche ai piani alti, scommettono sulla fine del regime.
Da Londra dov’è stata esiliata, Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace e prima donna giudice in Iran, ha invitato il popolo a sollevarsi per ottenere la democrazia: “Il regime è indebolito. Quando Israele ha preso di mira i pasdaran nessuno si è opposto. Ma adesso sono stati colpiti anche i civili e questo non ci aiuta”.
Non a caso in queste ore, sotto gli incessanti e precisi bombardamenti dell’Isf, si comincia a parlare di una fuga in Russia dei maggiori esponenti della teocrazia iraniana. Il vice di Kamenei, Hejazi, stando a quanto riporta Iran International, sarebbe già in trattative con la Russia per garantirsi una via d’uscita dall’Iran per sé e la sua famiglia. Secondo le informazioni, un alto funzionario russo ha assicurato a Hejazi che in caso di escalation, Mosca faciliterà la sua evacuazione attraverso un corridoio sicuro. Altri funzionari di alto rango avrebbero fatto ricorso a contatti simili. Non a caso Netanyahu ha dichiarato che i leader iraniani stavano “facendo le valigie”. C’è chi avanza l’ipotesi che perfino Kamenei, asserragliato in un bunker con la sua famiglia, starebbe pianicando l’uscita di scena, visto che è ormai il bersaglio grosso dell’esercito di Israele.
Secondo la Cbs News, dopo l’inizio dell’operazione israeliana, Trump avrebbe respinto un piano israeliano per uccidere l’ayatollah Ali Khamenei. Gli israeliani avevano l’opportunità di assassinare Khamenei e che Trump ha comunicato al primo ministro Netanyahu che non era una “buona idea”. Lo stesso Netanyahu ha però smentito.
La situazione che si sta creando in Iran, comunque potrebbe convincere Trump ad appoggiare l’offensiva in corso. Netanyahu, scrive oggi il Corriere della Sera, prospetta agli Stati Uniti la possibilità di un successo storico – è dal 1979 che nessun presidente americano viene a capo della questione persiana – e con un impegno militare Usa abbastanza contenuto visto che il grosso del lavoro è sulle spalle di Israele.

C’è da aggiungere il fatto, non secondario, che il regime teocratico, che si è retto sulla feroce repressione, oltre che sulla corruzione, è inviso a una grande fetta della società iraniana, laica e sensibile ai diritti umani, che rivendica da sempre libertà e progresso, e che guarda all’Occidente e al suo stile di vita. La fuga degli ayatollah sarebbe perciò vista con grande favore da coloro che auspicano e lottano per un cambio di regime.
Oggi ha fatto sentire la sua voce anche Reza Pahlavi junior, 64 anni, figlio dello Scià e di Farah Diba che furono cacciati con la rivoluzione iraniana quarantuno anni fa. «Sono a disposizione del mio popolo» avrebbe detto dagli Stati Uniti, dove vive in esilio sotto protezione dei servizi segreti americani. Non è detto che avrebbe il consenso del popolo e delle opposizioni. La monarchia dello Scià era un regime autoritario accusato di violazione dei diritti umani e di corruzione.
Ali Khamenei è da ben 36 anni che guida e reprime l’Iran. È diventato guida suprema il 6 agosto 1989 dopo la morte di Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. Da allora non ha più lasciato il Paese che ha governato con il pugno di ferro, nonostante le spinte democratiche che provenivano dal basso. All’epoca non era scontato che fosse lui il successore del leader della Rivoluzione, eppure riuscì non solo a farsi eleggere presidente per due mandati, ma anche a modificare la Costituzione e diventare guida suprema nel 1989. Si è mostrato abile nel mantenere il potere anche grazie all’alleanza con i conservatori e gli spietati Guardiani della Rivoluzione (pasdaran), il braccio armato che ha represso la giovane società di Teheran.
Stile di vita sobrio, Kamenei si presenta come custode dei valori della Rivoluzione del ’79: insistendo, a parole, su giustizia sociale, indipendenza e governo islamico. Valori che usa per giustificare un modello di potere totalitario e assoluto, basato sulla repressione del dissenso e di ogni forma di opposizione politica, come si è visto con la violenza usata contro il movimento Donna Vita Libertà in seguito alla morte di Mahsa Amini e ai tanti oppositori incarcerati o addirittura giustiziati. Oggi quel potere si sta sgretolando sotto le bombe di Israele. La fuga forse è l’unica chance di rimanere in vita per coloro che hanno giocato con crudele determinazione sulla vita di ragazze e ragazzi. Il giorno della caduta, l’Iran laico e progressista tirerà un grande sospiro di sollievo.