Lo scontro tra Garante della privacy e Report continua a riservare polemiche, dopo la serie di servizi della trasmissione di Sigfrido Ranucci sull’Authority che ne mettevano in discussione la correttezza dell’operato e la reale indipendenza. Una vera e propria bufera sullo stesso Garante con varie accuse, tra cui presunte spese di rappresentanza esorbitanti per viaggi e trasferte da parte dei componenti del Collegio, passando a critiche su stipendi troppo elevati per esponenti e dirigenti, fino a pesanti insinuazioni riguardanti sconti milionari (da 44 milioni a un milione) indebitamente applicati a Meta sulle sanzioni comminate per le violazioni della privacy commesse con il primo modello degli smart glasses (dispositivi indossabili che si connettono tramite Bluetooth), nonchè asserzioni su violazioni del segreto d’ufficio che avrebbe commesso Agostino Ghiglia passando informazioni riservate a Giorgia Meloni all’epoca del Covid-19.
La premier, dinanzi alle richieste di far dimettere l’intero collegio dell’Authority, ha affermato che la questione non riguarda il suo governo ma il precedente che l’ha nominato. E’ arrivata anche la reazione di Ranucci, finito ormai nelle mire della stampa e dei politici di centrodestra che da giorni lo manganellano senza ritegno.
“Mi ha colpito, ieri, la dichiarazione della premier Meloni – ha affermato Ranucci – quando ha detto che l’Authority non è roba sua, come se non fosse parte importante e integrante del funzionamento di un’autorità che dovrebbe garantire la protezione dei cittadini, dei loro dati e dovrebbe far funzionare la macchina democratica”.
Ecco, “la premier non può dire che quella roba non gli interessa, che non è cosa sua, anche perché ci sono dentro dei membri eletti direttamente dal partito e anche dalla Lega”. È quanto ha sottolineato il conduttore di Report durante un incontro per presentare lo spettacolo tratto dal suo libro, ‘La scelta’, in programma a Firenze.
Quella dell’Authority e del Garante della privacy è “una delle pagine più brutte della democrazia degli ultimi anni. E non è vero che abbiamo fatto questa inchiesta in seguito alla sentenza. Anche perché di sentenze della magistratura ne abbiamo avute tante: se fosse questa la logica avremmo dovuto fare la guerra contro tutti. No, erano due anni che stavamo dietro al Garante e lo dimostra la mole della documentazione che abbiamo prodotto”. Adesso “decidono in base a quello che hanno visto. Perché quello che hanno visto non è frutto di un furto o di un’appropriazione indebita, ma di informazioni che ci sono state date dentro quell’ufficio. E se in quell’ufficio ci sono dei dipendenti che non ne potevano più di quell’andazzo vergognoso, ci sarà un motivo”.
Secondo Ranucci “bisognerà prendere coscienza che la politica ha scoperto di aver creato un mostro, perché in questo momento non è in grado neppure di mandarli a casa, di licenziarli. Paradossalmente c’è l’imputazione di impeachment per il presidente della Repubblica, ma chi fa gli impicci in un’autorità garante non si riesce a mandarlo via per legge. È un paradosso”.
NELLA FOTO: il collegio del Garante della privacy (da sinistra: Guido Scorza, Ginevra Cerrina Feroni, Pasquale Stanzione, Agostino Ghiglia)

