Un articolo da leggere con molta attenzione e, soprattutto, da condividere e far girare sui social. Lo ha scritto l’editore e giornalista del New York Times, Arthur Gregg Sulzberger, che mette in guardia le democrazie di tutto il mondo, Stati Uniti compresi, dalle strategie illiberali che stanno minando la libertà di stampa e di informazione. L’aspetto singolare è che l’articolo è stato pubblicato con ampio risalto sul giornale concorrente del Nyt, il Washington Post, a dimostrazione di come il rischio che corrono giornali e tv è molto forte e che occorre quindi fare fronte comune tra giornali, pubblica opinione e sinceri democratici. Ecco l’articolo che ha dedicato all’appello del più grande e autorevole giornale del mondol il sito professionereporter.eu.
*****
— Il giornalista ed Editore del New York Times Arthur Gregg Sulzberger scrive tre cose. Che in giro per il mondo c’è un forte sentimento “anti-press”, contro i mezzi di informazione. Che in molti Paesi non dittatoriali -Ungheria, India, Brasile- i mezzi di informazione sono messi in difficoltà e minacciati quando indagano sul potere. Che questo potrebbe avvenire anche in Paesi di più radicata democrazia. C’è un modello che prevede cinque precisi passi.
Sulzberger, 44 anni, scrive un lungo pezzo (“La guerra tranquilla contro la libertà di stampa potrebbe arrivare negli Stati Uniti. Ecco come”) che non pubblica sul suo giornale, ma sul maggior rivale, il Washington Post, ampiamente ringraziato per l’ospitalità. Lo fa perché il suo è un appello a tutti i media importanti, affinché vigilino, resistano, combattano per continuare a svolgere la loro funzione. Chiede “un fronte comune”.
L’articolo, di quelli che tutti dovrebbero leggere, comincia raccontando una storia. “Il precedente leader torna in carica. Incolpa i media della sua mancata rielezione. Ritiene che tollerare la stampa libera e indipendente abbia indebolito la sua capacità di guidare l’opinione pubblica. Stavolta decide che non commetterà lo stesso errore”. Il suo Paese è però una democrazia, non può chiudere giornali o imprigionare giornalisti: “Vuole invece minare le organizzazioni indipendenti di news usando strumenti burocratici come tasse, licenze di trasmissioni o contratti del governo. Vuole premiare le aziende che seguono la linea del suo partito con pubblicità statale, esenzioni fiscali e altri sussidi governativi. E aiutare gli imprenditori amici ad acquistare a basso costo testate indebolite, per trasformarle in sostegni al governo”.
Dice Sulzberger che sta parlando del Presidente ungherese Orban e della “democrazia illiberale”. In realtà il ritratto somiglia molto a Trump e al suo possibile ritorno alla Casa Bianca. D’altronde, Trump e il suo vice designato Vance hanno speso parole di ammirazione per Orban, che controlla ormai circa l’80 per cento dei media ungheresi. Ora il “modello Orban” si sta ripetendo in molte “eroding democracies”, democrazie in via di erosione, democrazie che non credono più in se stesse: “Con una stampa debole è più facile tenere segreti, riscrivere la realtà, eliminare i rivali, agire con impunità”.
Attenzione. Tutto questo avviene mentre negli Stati Uniti e in giro per il mondo cresce un sentimento anti-press: “La mia professione è ampiamente impopolare”. Le motivazioni sono molte e i giornalisti hanno specifiche responsabilità, ma il contributo offerto da personaggi come Trump è stato notevole. Ha più volte deriso la stampa in quanto “nemico del popolo” e da 8 anni ha popolarizzato il termine “fake news”, usandolo come una clava per respingere e attaccare il giornalismo che lo sfidava. Ora 70 Paesi in 6 continenti hanno adottato leggi contro le fake news.
Sulzberger racconta che al New York Times hanno studiato a fondo gli attacchi alla libera stampa in Ungheria, India e Brasile, ambienti diversi che hanno seguito un filo comune. Ne è venuto fuori un modello in 5 passi:
*Creazione di un clima ostile. Si semina sfiducia nel giornalismo indipendente e si normalizzano le molestie contro i giornalisti. Obiettivo: creare un ambiente in cui la repressione della stampa diventa socialmente accettabile.
*Manipolazione legale e regolamentare. I leader autoritari utilizzano leggi fiscali, regolamenti sull’immigrazione e norme sulla privacy per punire i giornalisti e le organizzazioni mediatiche.
*Sfruttamento dei tribunali. Ampio ricorso ai contenziosi civili e ad altre cause legali per infliggere sanzioni economiche e logistiche ai media sfavoriti. Questi contenziosi spesso mancano di fondamento legale e servono più a intimidire che a ottenere giustizia
*Incoraggiamento degli attacchi ai giornalisti da parte di sostenitori influenti in vari settori: ciò amplifica l’effetto delle strategie repressive.
*Premi ai media favorevoli. Supportare i media che dimostrano fedeltà al governo attraverso sussidi e appalti, e facilitare l’acquisizione di testate indebolite da questi sforzi.
Sulzberger, a titolo di esempio, racconta poi l’irruzione, nel 2023, di pubblici funzionari nelle sedi di Nuova Delhi e Bombay della Bbc, con sequestro di computer e cellulari dei giornalisti. Nei mesi precedenti Bbc aveva realizzato un documentario sul ruolo del presidente Modi nelle rivolte antigovernative. “E’ solo per controllare i libri contabili”, ha spiegato il governo indiano. “Si tratta invece di un avvertimento a eventuali futuri informatori, per far passare loro la voglia di contrastare Modi”.
Il rischio che Trump si ispiri a questo modello non deve portare i media ad abbandonare la neutralità e opporsi alla rielezione: “E’ miope rinunciare all’indipendenza per paura che questa possa essere portata via. Al Times siamo impegnati a presentare un pieno, chiaro e accurato quadro delle elezioni”. Dice Sulzberger che la difesa della libertà di stampa è stata un punto di raro consenso bipartisan nella storia della nazione: “Questo consenso però si è rotto e si sta elaborando un nuovo modello che mira a minare la capacità dei giornalisti di raccogliere e riportare liberamente le notizie”.
Conclusione: “L’accesso a notizie affidabili non si limita a lasciare il pubblico meglio informato. Rafforza le imprese. Rende le nazioni più sicure. Infonde comprensione reciproca e impegno civico. Porta alla luce la corruzione e l’incompetenza, nel garantire che il bene della nazione sia posto al di sopra degli interessi personali di qualsiasi leader. Questo è ciò che viene compromesso quando la stampa libera e indipendente viene indebolita”.
Sulzberger assicura che al Times “stiamo adottando misure attive per prepararci anche a un ambiente più difficile a casa: assicurandoci che i nostri giornalisti ed editori sappiano come proteggere le loro fonti e se stessi. Spero che la nostra nazione, con le tutele per la libertà di stampa esplicitamente sancite dal Primo Emendamento, manterrà il suo percorso tipicamente aperto, indipendentemente dall’esito di queste elezioni o di qualsiasi altra. Qualunque cosa accada, dobbiamo essere pronti a continuare a portare la verità al pubblico senza paura”.
professionereporter.eu